Psicoanalisi, Arte, Cultura

Fondata nel 2010 su iniziativa di un piccolo gruppo di psicoanaliste, OfficinaMentis ha una doppia vocazione: la formazione in ambito psicoanalitico, condotta mediante supervisione clinica e studio di testi; il lavoro culturale nell’ambito delle scienze umane, mediante il costante dialogo tra psicoanalisi, filosofia, antropologia, letteratura, teatro e cinema. L’Associazione organizza a questo scopo gruppi di lavoro che si incontrano con regolarità (due gruppi di supervisione, uno di lettura di testi psicoanalitici, uno dedicato al cinema) e attività pubbliche (conferenze e giornate di studio).
Il sito rappresenta uno strumento importante per il progetto culturale dell’Associazione; non solo, infatti, dà notizia delle attività e degli eventi che vengono organizzati, ma si propone come spazio di riflessione che, ospitando articoli, testi di approfondimento, traduzioni, recensioni di libri, funziona da vera e propria rivista culturale. Le sue sezioni, che spaziano dalla psicoanalisi al teatro classico a temi di attualità, rispecchiano con coerenza il movimento transdisciplinare che caratterizza l’Associazione fin dal suo atto di nascita.

La nostra storia

L’inizio

L’Associazione nacque nel 2010 su iniziativa di cinque psicoanaliste legate da amicizia e da un patrimonio culturale comune, benché declinato in forme ed esperienze professionali diverse. Avevamo tutte alle spalle una lunga e solida formazione in campo psicoanalitico e nasceva in noi, alle soglie del nuovo ciclo di vita che si annunciava, il desiderio di trasmettere e far circolare qualcosa di quel patrimonio. A questo furono dedicati i primi anni di attività. Lavoravamo con giovani psicologi e psichiatri che formavamo alla teoria psicoanalitica e alla pratica clinica. La lettura dei testi psicoanalitici era sottoposta a dibattito e a costante approfondimento, mentre la clinica trovava ampio spazio nella supervisione e nella discussione di gruppo.  In un momento storico in cui in Italia nasceva ogni giorno una nuova scuola di formazione - erano ormai maturi i frutti della legge Ossicini, che aveva allora poco più di dieci anni -, scegliemmo di mantenerci distanti da una simile prospettiva e cercammo una formula fondata sulla circolarità dello scambio e l’aggregazione in piccoli gruppi. Ci facevano da guida la laicità culturale e l’esercizio del pensiero critico, il rigore teorico e la libertà dell’invenzione personale, in aperta contestazione di ogni idea di scuola, inevitabilmente fondata su programmi di studio e su tentazioni pedagogiche. Nulla di questo poteva conciliarsi con lo spirito libertario e antiistituzionale che ci ha sempre caratterizzate. Lo abbiamo assorbito nel lungo apprendistato con Pierfrancesco Galli, fondatore di Psicoterapia e Scienze Umane, al quale andrà sempre la nostra gratitudine. Le più anziane tra noi lo hanno appreso attraverso la militanza politica e il lavoro nella psichiatria degli anni basagliani.

Cambiamenti esterni, trasformazioni interne

La vita dell’associazione nei primi anni duemila si è svolta sullo sfondo di cambiamenti sempre più allarmanti che coinvolgevano la società, la politica, la cultura. Non mi soffermerò su di essi e mi limiterò a sottolineare quanto ci toccava più da vicino: la progressiva medicalizzazione della psichiatria, l’inarrestabile semplificazione del pensiero, l’(apparente) declino della psicoanalisi come sapere capace di comprendere l’umano e di “esplorare” la cultura, secondo la bella espressione di G. Rosolato [1]. Sottoposti a queste pressioni, i nostri gruppi di lavoro si assottigliavano. Tuttavia la vitalità di un’associazione si misura dalla sua capacità di generare nuovi germogli. Nel 2015 obbedimmo a una spinta ambiziosa e del tutto “inattuale”: avviammo un Seminario che intendeva rimettere in circolazione un pensiero esigente e alto, quello dei grandi intellettuali del Novecento. Si trattava dunque di aprire uno spazio in direzione di altri saperi - filosofico, antropologico, storico, sociologico -, con i quali il nostro sapere originario e fondante, la psicoanalisi, potesse entrare in un dialogo di reciproca interrogazione.
Dichiarammo Permanente il Seminario, nel senso che sarebbe andato avanti finché ci sarebbe stata una partecipazione attiva.
Decidemmo di cominciare da Michel Foucault. La risposta a questo seminario bolognese fu inaspettata e in questi anni non ha smesso di stupirci. Moltissimi studenti lo hanno seguito e lo seguono, fuori dalle stanze universitarie, lontano dai programmi accademici, obbedienti solo alla curiosità e alla passione intellettuale. Il Seminario appartiene a questa giovane generazione. Aiutati, incoraggiati a proporre i loro temi, chiamati a prendere la parola e parlare in pubblico, lo hanno fatto spesso e volentieri.  Così sono nati nuovi interlocutori, nuovi temi e un nuovo progetto culturale. Foucault ci ha accompagnato per tre anni; agli inizi del 2020, allo scoppio della pandemia, stavamo lavorando al pensiero di Ernesto de Martino.

Intanto, a partire dall’iniziale esperienza di formazione teorico-clinica, emergeva un interesse sempre più forte per la particolare forma di supervisione che veniva praticata all’interno dell’associazione e che si ispirava al lavoro di Conrad Stein in Francia. La supervisione, ampliandosi nel corso degli anni, prosegue tuttora e rappresenta attualmente il momento clinico più importante e caratterizzante nella vita dell’associazione.

[1] G. Rosolato, Pour una psychanalyse exploratrice dans la culture, PUF, 1993

L’arte, irrinunciabile compagna

Fin dai primi anni abbiamo intrecciato uno stretto legame con l’arte. Le conferenze dedicate alla letteratura sono state altrettanti indimenticabili incontri con un’opera letteraria - I Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, Lucrezia Borgia di Maria Bellonci, Le benevole di Jonathan Littell, Moby Dick di Herman Melville -, avvicinata ogni volta con rispetto e senza pretesa di interpretarla, ma con lo stupore, lo smarrimento o il rifiuto che ne possono derivare, con l’apertura spirituale che ciascuna di esse richiede. Nel tempo il dialogo con l’arte si è fatto sempre più profondo, diventando parte della nostra identità.
L’arte, come il sogno, zampilla dall’inconscio, ma l’artista “precede” lo psicoanalista - come dice Lacan a proposito di M. Duras: “[...] il solo vantaggio che uno psicoanalista possa legittimamente trarre dalla sua posizione – se gli fosse riconosciuta come tale – è di ricordarsi con Freud che, nella materia che tratta, l'artista lo precede sempre e che non c'è da fare lo psicologo là dove l'artista gli apre la strada" [2].
In una stagione storica segnata dalla tecnicizzazione del mondo e dalla desolazione della parola, l’incontro con la poesia, la letteratura, il teatro, il cinema, ci pare indispensabile e urgente. Senza voler nulla apprendere, senza nulla voler interpretare, si tratta, per lo psicoanalista e non solo, di lasciarsi toccare dall’enigma dell’arte e lasciare che l’opera, qualunque sia la forma in cui essa si declina, lo prenda per mano e lo porti in quell’al-di-là dove affonda il senso misterioso della vita.

[2] J. Lacan, “Omaggio a Marguerite Duras, del rapimento di Lol V. Stein”, in Altri Scritti, Einaudi, 2013

Genius loci

Formazione permanente

Cerchiamo di favorire e promuovere un processo di formazione permanente in campo psicoanalitico, attraverso una riflessione continua sui problemi che la clinica pone e un approfondimento rigoroso della psicoanalisi classica e contemporanea. Desideriamo favorire lo scambio tra terapeuti e operatori della salute mentale, senza altra cultura comune se non quella psicoanalitica ma lontano da appartenenze o pregiudizi di scuola. Abbiamo un ideale di condivisione libera, dinamica, di spazi dove si possano portare le proprie idee, discutere problemi, aprirsi a nuove conoscenze.

In accordo con l’idea freudiana che la psicoanalisi è un’antropologia, riteniamo che la formazione dello psicoanalista e dello psicoterapeuta trovi indispensabile nutrimento nell’incontro con le altre scienze umane e consideriamo perciò il nostro lavoro culturale in questo ambito una parte importante della formazione.

La formazione come bildung

L’idea di formazione come bildung, per certi versi affine alla greca paideia, è poco attuale, ormai eclissata dall’egemonia della tecnica e del management.
Viene dalla cultura tedesca, dove si afferma particolarmente tra il Settecento e l’Ottocento per indicare un progetto di autoformazione - intellettuale, estetica, morale - mediante il quale l’uomo, ogni uomo, può elevarsi alla sua vera condizione umana. La bildung del neoumanesimo tedesco nella sua versione romantica è cultura, è cura della propria umanità in uno sforzo condiviso con altri, è impegno e partecipazione alla costruzione di un mondo comune.
H. Gadamer, fondatore dell’ermeneutica filosofica,  riprende più volte questa idea nel corso del suo instancabile confronto con i disagi della modernità, in particolare in una serie di saggi giunti in Italia nel 2012, dieci anni dopo la sua morte.
In Gadamer la bildung umanistica è intesa come formazione generale e non specialistica, capace di promuovere la facoltà di giudizio e, quindi, la libertà dell’uomo, contro la tendenza all’adattamento e alla massificazione che dominano nelle società contemporanee.
Egli insiste sull’assoluta necessità di "ridare legittimità [alla] forza dell’intelletto [e] della sensibilità umana, [alla] Bildung ", alla capacità di "scelta critica [e] autocritica" (3).

Ci piace pensare che i percorsi culturali che proponiamo, all’interno del nostro ambito disciplinare ma anche all’esterno di esso, negli spazi occupati dalle scienze umane e dall'humanitas, partecipino a un simile progetto, della cui forza utopica siamo consapevoli.

Pluralità dei saperi, pluralità dei mondi

L’idea di pluralità va articolata su più livelli, come una pianta che si ramifica e ramificandosi si espande.
Al primo livello, si tratta di affermare che la clinica non può essere pensata se non nella pluralità delle prospettive e dei modelli teorici che la psicoanalisi, dibattendosi tra fedeltà ed eresie, ha saputo costruire nell’arco di cento anni.
Ad un secondo livello si situa l’esercizio della multidisciplinarità, inteso come confronto con altri modelli di pensiero e altri campi disciplinari: la continua “sfasatura” rispetto al proprio sapere, che ne risulta costantemente messo alla prova, è prezioso antidoto alla rigidità e alla monotonia del pensiero.
C’è infine un terzo livello che implica la consapevolezza e l’accettazione dell’esistenza di molti mondi culturali e la disponibilità a confrontarci con essi senza volerli addomesticare, ma prendendo sul serio ciò di cui gli altri ci parlano. Si tratta di riflettere sulla nostra relazione con l’alterità, di abbandonare la posizione egemonica delle nostre epistemologie e ontologie, di riconoscere la legittimità di differenti visioni cosmologiche, concezioni dell’essere umano, della sofferenza, della malattia e della cura.

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