Editoriale Ottobre 2025

Angela Peduto

La memoria cancellata di Gaza

Ciò che resta, è questo che lei cerca. Non più le vite, i destini singolari, ma ciò che l'uomo offre al tempo, la parte di sé che vuole salvare dal disastro, la parte su cui la disfatta non ha presa, il gesto dell'eternità. Oggi, è questa parte che gli uomini in nero minacciano. Brandiscono le armi e urlano che non hanno paura della morte. ‘Viva la muerte!’ dicevano i fascisti spagnoli. È la stessa arroganza, lo stesso odio dell'uomo. Ma ciò che attaccano è la parte che normalmente sfugge alle battaglie e agli incendi. Sparano, bombardano, bruciano, come gli uomini hanno sempre fatto. L'antichità è piena di città saccheggiate – l'incendio di Persepoli, la distruzione di Tiro –, ma di solito ne restavano tracce, di solito l'uomo non cancellava il suo nemico. Ciò che si gioca qui è il piacere di poter cancellare la Storia.

(Laurent Gaudé, Ecoutez nos défaites, Actes Sud, 2016, pp. 81-82)

Gaza è oggi il luogo spaventoso dove si consuma la distruzione di un popolo e, insieme ad essa, la catastrofe etica e politica del nostro mondo. 

Il 16 settembre la Commissione d'inchiesta dell'ONU ha riconosciuto l’intento genocidario nella condotta delle autorità israeliane, dando all’orrore di Gaza un fondamento giuridico. Le parole sono agghiaccianti per chi identifica la parola “genocidio” con il male assoluto, quello che non si doveva ripetere “mai più”:

“La Commissione ritiene che le autorità israeliane intendessero uccidere il maggior numero possibile di palestinesi […] e fossero consapevoli che i mezzi e i metodi di guerra impiegati avrebbero causato morti di massa di palestinesi, compresi i bambini. Rileva inoltre che tali morti sono state il risultato dell’imposizione deliberata di condizioni di vita a Gaza, volte a provocare la distruzione dei palestinesi di Gaza, in particolare il blocco dell’ingresso di medicinali, attrezzature mediche, cibo e acqua. Sulla base delle ragioni sopra esposte, la Commissione conclude che le autorità israeliane intendevano uccidere e causare la morte dei palestinesi di Gaza attraverso le operazioni militari e le strategie di guerra impiegate.”

Davanti allo spaventoso massacro di civili innocenti e nell’urgenza della crisi umanitaria, potrebbe apparire inappropriato parlare della distruzione del patrimonio culturale – opere d’arte, siti archeologici, archivi, biblioteche, musei, moschee, chiese, monasteri. 

E tuttavia il patrimonio culturale è indissociabile dall’identità di un popolo: opera dell’uomo, si prolunga nelle generazioni, crea legami tra gli individui, li colloca in una storia che li porta e al tempo stesso li trascende.

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale le potenze in gioco, coscienti dell’immenso disastro e desiderose di costruire condizioni durature di pace, creano a New York l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Un organo delle Nazioni Unite, l’UNESCO, con sede a Parigi, è destinato ad occuparsi di Educazione, Scienza e Cultura per il mantenimento della pace.

Il Primo Articolo del suo Atto Costitutivo gli assegna la missione di “vegliare alla conservazione e alla protezione del patrimonio universale di libri, opere d’arte e altri monumenti di interesse storico o scientifico”.

Ciò che noi chiamiamo “patrimonio culturale” indica una realtà complessa:  nel corso degli ultimi decenni essa si è ampliata per accogliere non solo collezioni d’arte o tracce monumentali di culture passate, ma attività non artistiche ed espressioni immateriali, diventando così testimonianza sempre più mobile e vivente delle società umane.

L’attività dell’UNESCO ha enormemente contribuito a riplasmare questa nozione e ad elaborare un quadro giuridico di protezione e salvaguardia. Nel 1954 viene stipulata all’Aja una Convenzione che regola la protezione dei “beni culturali” in caso di conflitto armato; sarà aggiornata nel 1999, in relazione ai nuovi rischi e alle nuove aggressioni che il patrimonio culturale subisce. Queste, in effetti, hanno cambiato natura: non più o non solo vittima collaterale delle guerre, il patrimonio culturale è diventato vero e proprio strumento di guerra.

Pur con i limiti e le inadeguatezze di molte delle prescrizioni di questi testi normativi, che peraltro diversi Stati firmatari hanno ratificato con enormi ritardi o la cui applicazione hanno clamorosamente disatteso, il Trattato resta una tappa fondamentale nella presa di coscienza di alcuni principi chiave: in particolare, l’idea che esiste un patrimonio comune dell'umanità, unitario e inscindibile, la cui perdita costituisce un danno non solo per il singolo Stato territoriale, ma anche per lo Stato aggressore e, soprattutto, per l'umanità intera: Beirut, Dubrovnik, Sarajevo, Angkor, Tombouctou, Aleppo, Palmira, Bamiyan, Kabul, Mossul, Odessa, Kharkiv … le loro ferite sono altrettante ferite nel corpo stesso dell’umanità.

L’idea di genocidio culturale, introdotta da Raphael Lemkin nel 1944 come componente culturale del genocidio, oggi circola e alimenta dibattiti. Nel 2001, nel quadro del processo relativo alle distruzioni di luoghi culturali nella ex-Jugoslavia, la Corte Penale Internazionale ha preso una decisione inedita, riconoscendo per la prima volta come crimini di guerra i crimini sistematici condotti contro il patrimonio culturale: colpire in modo intenzionale la cultura dell’altro partecipa dunque dell’idea di genocidio. Da allora la domanda: si possono dissociare il genocidio di un popolo e il genocidio culturale?

Gaza, oggi.

10 settembre 2025: “Per una volta assisteremo in diretta alla distruzione del patrimonio di Gaza, annunciata stamattina dall’armata israeliana. Abbiamo guadagnato qualche ora sui 30 minuti che ci avevano concesso. Qualche ora di tregua col sostegno del Patriarcato per salvare alcuni pezzi dalla distruzione del deposito archeologico della Scuola biblica e archeologica di Gaza … come salvare in poche ore 180 metri cubi di artefatti, decine di migliaia di artefatti che rappresentano 25 anni di lavoro?

Le autorità francesi sono state avvisate.

Domani tutta la cultura materiale e archeologica di Gaza sarà sparita.

Se avete qualche idea, non esitate, la distruzione sarà compiuta questa sera o all’alba.”

(René Elter, archeologo, ricercatore associato della Scuola biblica e archeologica francese, Istituto Francese del Medio Oriente).

11 settembre 2025: Dopo frenetiche negoziazioni, diventa possibile un salvataggio in extremis. “Abbiamo salvato quello che poteva essere salvato […] La maggior parte del patrimonio e i due musei archeologici di Gaza sono stati distrutti; perciò questi oggetti sono una testimonianza inestimabile di una storia vecchia di 5.000 anni.” (frate Olivier Poquillon).

Gaza: distrutti archivi, musei, la chiesa bizantina di Jabalia del V secolo, il cimitero romano, la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, del V secolo, una delle più antiche di tutta la cristianità, il monastero di Saint Hilarion, fondato circa 1.700 anni fa, le moschee, il Palazzo Pasha, l’Hammam al-Samara, i mosaici bizantini di Tell Umm Amer, il porto fenicio-romano di Anthedon … 

Distrutti

il museo di Rafah, con la sua collezione di monete antiche, piatti di rame e gioielli, distrutto subito, l’undici ottobre…

il museo di Al-Qarara, vicino a Khan Younis, aperto nel 2016 dai coniugi Mohamed e Najla Abu Lahia, con circa 3.000 manufatti risalenti ai Cananei (insediati nella regione di Canaan, che comprendeva l’attuale Gaza, intorno al XII sec. a. C.)

il museo di Jawdat al-Khoudary, una vasta collezione di decine di migliaia di oggetti raccolti da Jawdat al-Khoudary per contrastare il mercato nero e la fuga del patrimonio archeologico di Gaza verso Israele

la Grande Moschea Omari (المسجد العمري الكبير), la più antica di Gaza, la “bella Moschea” di Ibn Battuta: dapprima chiesa bizantina, poi convertita in moschea dopo la conquista musulmana del VII secolo. Poi i Crociati, gli Ayyubidi, i Mamelucchi, gli Ottomani: abbattuta, ricostruita, ampliata, rimaneggiata, distrutta il 7 dicembre 2023 da un bombardamento israeliano.

Distrutto Dayr al-Balaḥ, il Monastero dei datteri, detto così per il suo meraviglioso palmeto, i cui datteri, hayani, erano noti dall’antichità per il loro colore rosso e per il loro sapore, considerato superiore a quello dei datteri d’Egitto. [1]

L’inventario dei siti distrutti o gravemente danneggiati nella striscia, aggiornato man mano sulla base dei dati raccolti dall’UNESCO e da ICOMOS (International Council on Monuments and Sites) mostra una devastazione per la quale non sembra inappropriato il termine di “genocidio culturale”. [2]

Se al-Jazeera denunciava un genocidio culturale già il 14 gennaio 2024, dopo i primi 100 giorni di guerra, oggi l’intera striscia di Gaza è rasa al suolo e le testimonianze di 5.000 anni di storia sepolte sotto le macerie. [3] Il governo di Israele renderà conto di questo scempio?  

Per comprendere l’entità della distruzione che si compie non solo sugli esseri umani ma sulla memoria e la storia di un popolo, occorre essere consapevoli di ciò che Gaza fu, della sua storia millenaria che la tragica attualità occulta. Ponte tra Asia e Africa, Gaza collegava l’Oriente all’Egitto e all’Africa del Nord. Era la via di Horus in epoca faraonica, la via del Sultano in epoca ottomana. Oltre questa oasi ricca d’acqua, di vigneti, di alberi da frutta, si stendeva il deserto del Sinai. Crocevia commerciale e culturale, vi giungevano le carovane dei Nabatei che, cariche di spezie e di incensi, solcavano la penisola arabica, mentre la via marittima consentiva le influenze greche.

Per la sua posizione strategica fu desiderata, contesa, saccheggiata, distrutta e riedificata: Egiziani, Filistei, Persiani, Greci, Romani e Bizantini, Omayyadi, Abbasidi, Ayyubidi e Crociati, Mamelucchi e Ottomani, furono di volta in volta ospiti e occupanti. Roma dominò per quasi seicento anni, gli Ottomani per quattrocento, fino alla caduta dell’impero nella prima guerra mondiale e l’inizio del protettorato britannico. Qui comincia la storia moderna di Gaza, nella quale il 1948 è l’anno fatale, quando la nascita del nuovo stato di Israele coincide con la Nakba, la catastrofe del popolo palestinese. Dopo, una storia interminabile di colonizzazione, guerre, pulizia etnica. Fino alle macerie e al massacro del presente.

Tutte le civiltà che qui sono passate, i popoli che si sono mescolati e incrociati, hanno generato una fiorente vita artistica e intellettuale e un patrimonio archeologico di eccezionale ricchezza, emerso soprattutto quando, nel 1993, dopo gli accordi di Oslo, sono stati avviati gli scavi grazie a una cooperazione archeologica franco-palestinese, sotto la guida del Dipartimento delle Antichità della Palestina e della Scuola Biblica di Gerusalemme.

Di questo impressionante patrimonio dà testimonianza una mostra in corso a Parigi all’IMA (Institut du Monde Arabe, Trésors sauvés de Gaza. 5.000 ans d’histoire, 2 aprile-2 novembre 2025): un centinaio di pezzi appartenenti al museo privato di Jawdat Khoudary, miracolosamente salvati perché nel 2007 erano stati prestati – poi mai più rimpatriati e perciò rimasti nei depositi del MAH - per una mostra al Museo d’Arte e di Storia di Ginevra. [4]

Oggi di questa storia millenaria il cinico scenario dello sfruttamento immobiliare rappresenterebbe l’epilogo brutale: saremmo tentati di vedervi nient’altro che l’oscena esibizione di una fantasia distopica, se non fosse che ogni giorno la realtà pare sfidare e superare le più audaci distopie e che, dietro il mega-progetto immobiliare, basato sulla completa “pulizia” dell’enclave, operano molti interessi e una precisa visione del mondo. Fare di Gaza una città-impresa, le cui azioni si potrebbero scambiare sulle borse mondiali, è il progetto di Curtis Yarvin, profeta dell’illuminismo nero e uno dei riferimenti ideologici dell’amministrazione americana. Ne dà conto Le Grand Continent [5] in pagine inquietanti di cui consigliamo la lettura.

[1] Dal 1972 al 1982, mentre il territorio di Gaza era sotto occupazione israeliana, alcuni scavi portarono alla luce una cinquantina di sarcofagi antropomorfi in terracotta risalenti approssimativamente al XIII secolo a.C., oltre a offerte funerarie. Questo patrimonio fu in gran parte acquisito illegalmente da Moshe Dayan, all'epoca ministro della Difesa israeliano. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1981, la vedova lasciò in eredità la collezione al Museo d'Israele di Gerusalemme, dove si trova ancora oggi. Gli scavi dell'insediamento hanno anche portato alla luce i resti di una grande residenza amministrativa di tipo egizio del periodo amarniano (1353-1336 a.C.), di una fortezza militare di tipo egizio del periodo di Seti I (1294-1279 a.C.), costruita sulle rovine della residenza, di un importante complesso industriale del XIII secolo a.C. Durante questo periodo dell'età del bronzo, la città era un avamposto egizio e segnava il confine con Canaan.

Quanto alla coltivazione e al commercio dei datteri, una delle principali risorse economiche della città, sono continuati fino ai giorni nostri, determinando l'aumento della popolazione e lo sviluppo della città, nonché delle tradizioni legate a questo frutto così particolare e ai periodi che ne scandiscono la coltivazione. 

Dopo l'ascesa al potere di Hamas nel 2007 e il blocco imposto dai successivi governi israeliani, il commercio dei datteri è diventato sempre più complicato, in particolare nel 2011, quando Hamas ha vietato la loro esportazione verso Israele in risposta al blocco imposto alla Striscia, causando notevoli perdite economiche per gli abitanti di Gaza.

[2] Gaza, inventaire d’un patrimoine bombardé, in https://gazahistoire.hypotheses.org/211

[3] https://www.aljazeera.com/news/2024/1/14/a-cultural-genocide-which-of-gazas-heritage-sites-have-been-destroyed

[4] https://www.lemonde.fr/culture/article/2025/02/15/a-l-institut-du-monde-arabe-le-patrimoine-archeologique-de-gaza-retrouve-la-lumiere_6547535_3246.html

[5] https://legrandcontinent.eu/fr/2025/02/07/gaza-inc-linfluence-cachee-derriere-le-plan-de-trump/

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