Testi di psicoanalisi

"La fabrique de nos servitudes" di Roland Gori

Angela Peduto


Roland Gori è un noto e importante psicoanalista francese, professore emerito di Psicopatologia clinica all’Università di Aix-Marseille-1, direttore della rivista Cliniques Méditérranéennes, collaboratore di Pierre Fédida e di Conrad Stein, autore di numerosi libri, alcuni dei quali tradotti in italiano [1]. Da tempo porta avanti in Francia un gigantesco lavoro etico e politico, che si muove all’incrocio di psicoanalisi, filosofia, storia, sociologia, in uno strettissimo dialogo interdisciplinare.

Nel dicembre 2008 ha fondato insieme a Stefan Chedri lAppel des Appels (http://www.appeldesappels.org), grande movimento collettivo alimentato dal contatto tra professionisti di diversi settori, da giornate di lavoro comune, dibattiti, pubblicazione di articoli, ricerche e riflessioni. Il movimento si batte per la riappropriazione di spazi di pensiero e di parola contro la logica della normalizzazione e della quantificazione che colonizza le nostre vite. 

La fabrique de nos servitudes esce per Les Liens qui Libèrent nel gennaio 2022 e rappresenta l’approdo attuale di una ininterrotta e ventennale riflessione sulle trasformazioni che il sistema tecnico-economico impone alle nostre esistenze. La medicalizzazione dell'esistenza, i danni del razionalismo scientista, le derive di un mondo regolato sempre più dagli algoritmi,  l'individuo privato del suo statuto di soggetto, la parola sottratta alla ricchezza della sua polivocità, spogliata degli affetti, appiattita a strumento di propaganda e di comunicazione: ecco alcuni tra i grandi temi che Roland Gori ha affrontato in questi anni con la lucidità e la passione di uno psicoanalista di vastissima cultura profondamente coinvolto nella crisi del nostro mondo.

La pubblicazione del suo ultimo libro ci offre l’occasione per mettere in circolazione il pensiero di questo intellettuale rigoroso, appassionato e inquieto.

***

Pubblichiamo una breve presentazione del libro, disponibile in lingua originale sul sito dell’editore

http://www.editionslesliensquiliberent.fr/livre-La_fabrique_de_nos_servitudes-676-1-1-0-1.html


Nelle nostre società di controllo l’informazione è il mezzo privilegiato per sorvegliare, normalizzare e dare ordini. Le informazioni, molecole della vita sociale, diventano i soggetti dell’esistenza, il vero obiettivo dei poteri politici ed economici. Il linguaggio numerico rinchiude le soggettività dentro una rete di norme sempre più dense e vincolanti. Le ideologie scientifiche spesso finiscono per legittimare questo “naturalismo economico” trasformando il cittadino in soggetto neuro-economico e la sua educazione in accumulo di competenze in vista delle competizioni future.

Le fabbriche di servitù mettono in cattività gli individui e le popolazioni in nome dell’efficacia tecnica e nell’illusione di un benessere procurato dagli algoritmi e dalla mondializzazione commerciale. Per uscirne occorre modificare i nostri habitus e le nostre abitudini, occorre restaurare la forza rivoluzionaria del

 linguaggio e della metafora, ristabilire il potere delle “narrazioni” (fictions). L’ordine esistente ha sempre odiato le utopie, la loro potenza visionaria, le loro esperienze di pensiero. L’utopia non può essere ridotta a un genere letterario o alla rêverie politica di un futuro improbabile: è una posizione etica e politica, uno stile, un nucleo di libertà.

Nella storia della schiavitù e delle lotte sociali i “marronnage” attraverso la danza, il canto, il racconto, sono stati vie di emancipazione. Resistere alle fabbriche di servitù con l’utopia è un nuovo modo di agire e di pensare l’infinito, il complesso, l’instabile, il molteplice, il diverso, come il vivente esige. 



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Di seguito la traduzione dell’incipit del libro, per gentile concessione dell’Autore.

Roland Gori, La fabrique de nos servitudes, Paris: Les Liens qui Libèrent, 2022





AI MIEI LETTORI

Quest’opera si è nutrita delle mie letture di psicoanalista, di universitario e di cittadino desideroso di condividere negli spazi pubblici, al di là dei tradizionali steccati dell’università e delle società professionali, le idee elaborate nel corso del tempo. Le mie analisi derivano anche dalle molte letture di lavori e saggi provenienti da campi diversi. Il testo raccoglie numerose citazioni. Come Walter Benjamin, uno dei miei autori preferiti, mi piace collezionare parole che mi permettono di pensare e, come lui, sogno un libro fatto del montaggio di citazioni. Il messaggio è nel montaggio. In questa nostra epoca di plagi e predazioni, cerco di aderire a queste parole di W. Benjamin: “Le citazioni, nel mio lavoro, sono come briganti ai bordi della strada, che balzano fuori armati e strappano l’assenso all’ozioso viandante.”[2]



PROLOGO

Per quanto indietro vada col pensiero, non ricordo di avere mai immaginato l’orizzonte verso il quale si dirige la nostra società: una società di controllo totale dei comportamenti. Non tanto, in senso stretto, un controllo totale degli individui, quanto un controllo totale delle informazioni. Gli individui, che ne siano consapevoli o no, diventano supporto delle informazioni che producono; la padronanza dei flussi di informazioni è il mezzo per asservirli, controllarli, sorvegliarli e normalizzarli. I poteri finanziari se ne impadroniscono sempre più e, per questa via, trasformano le soggettività e le sottomettono a una violenza materiale e simbolica. 

Le società attuali sono “società di controllo”, dove l’informazione diventa un modo per impartire ordini senza darlo a vedere. Questa violenza simbolica è in qualche modo il prezzo che gli individui pagano per farsi perdonare di esistere e ottenere il riscatto sociale: devono accettare queste regole del gioco sociale, altrettante fabbriche di servitù, per essere autorizzati a entrare nelle danze e nelle ginnastiche collettive. Oggi le informazioni tendono a diventare le vere molecole della vita sociale, i veri soggetti dell’esistenza, il vero obiettivo del potere: captate, confiscate, prelevate, trattate dagli Stati, da GAFAM [3] e da tutti i partner della vita economica, sociale, politica, culturale, personale. È la nuova maniera sociale e soggettiva di esistere. Le popolazioni devono sottomettersi, per amore o per forza, a una cultura che ha abbandonato la preda del vivente per l’ombra delle verità algoritmiche [4]. L’intelligenza artificiale, che di intelligenza ha solo il nome [5], è diventata arbitro e garante di una gestione totalitaria degli individui e dei popoli: almeno a prima vista, tanto fingiamo di ignorare i veri poteri che stanno dietro le quinte.

La lettura numerica del mondo, lungi dal dover essere considerata soltanto una violenza simbolica, è una “spiritualità” della conoscenza e del progresso che sconvolge il mondo. Questa spiritualità numerica sta al centro degli sviluppi della scienza e dell’economia di mercato che, nella modernità, camminano mano nella mano. La loro collaborazione si è progressivamente rinforzata dal XVII secolo e, dalla fine del XIV secolo, si è nutrita di un immaginario tutto occidentale, per il quale il lavoro e la produzione di merci si trasformavano in vie di salvezza. Fino a un’epoca relativamente recente le categorie economiche e gli atti sociali sono rimasti infitti nella morale. I teologi scolastici hanno lungamente dibattuto sulle infrastrutture morali e spirituali che permettono di definire le categorie economiche. Nell’immaginario cristiano del Medioevo le conseguenze del peccato originale portavano a cercare una via di redenzione nel lavoro; col tempo, il lavoro è stato convertito in quantità, con una sfrenata ricerca di profitto. È solo recentemente che il valore di mercato ha totalmente assorbito il valore morale e relazionale degli scambi sociali e commerciali: con le conseguenze culturali, sociali, politiche e soggettive che conosciamo oggi, nell’era del capitalismo neoliberista.

Ci sono sempre metafisiche dietro i metodi, anche quelli che pretendono di essere oggettivi. I venditori credono nel potere trascendentale delle cifre. Gli scienziati e gli informatici sostengono l’oggettività e la neutralità politica delle cifre. Senza saperlo e senza volerlo, gli scienziati sono diventati gli “alleati oggettivi” [6] della razionalità dei mercati. E i ricercatori hanno dovuto piegarsi alle esigenze della società dello spettacolo e alla legge della concorrenza. Vedere i loro sofisticati modelli, che simulano una parte della realtà, trasformati in strumenti di propaganda e di pubblicità industriale è diventato un bisogno vitale. È il prezzo simbolico che hanno pagato per ottenere il finanziamento dei loro lavori: sono stati costretti a “venderli” accettando di “semplificarli” fino all’ideologia.

L’immaginario di una lettura numerica del mondo opera per sottrazione dell’esperienza sensibile permettendo di “tracciare piani sul caos” [7]. “Taglia” nel caos e lascia parti di reale al di fuori di quanto fa apparire. Anche l’arte e la filosofia “tracciano piani sul caos”, spesso a partire da ciò che resta eterogeneo ai metodi “oggettivi” delle scienze. Oggi l’arte e la filosofia non hanno gran peso, non potendo essere convertite in merce. Questa assenza di contrappeso è un problema, perché intacca la capacità di pensare e impoverisce tutti i campi della conoscenza, anche quelli scientifici. Un uomo ridotto ai suoi comportamenti che bisogno ha di pensare? [8]

Oggi sono le conoscenze tradizionalmente più ribelli alla ragione calcolatrice, prime fra tutte la psicoanalisi e le discipline umanistiche (humanités), a subire il massacro da parte dei poteri.  Sono l’obiettivo privilegiato, l’oggetto di tutte le censure: la loro confidenza con la lingua, la loro prossimità con la letteratura, minacciano da sempre l’ordine sociale esistente. 

La censura ha preso una forma nuova: non vieta, impedisce. Impedisce di pensare escludendo l’uso figurato delle parole, per esempio. Per censurare è sufficiente rendere trascurabile ogni atto di vita, sociale e soggettivo, che non possa essere convertito in valori pratico-formali, cioè nel linguaggio e nei codici degli affari e del diritto. Il sorriso di uno schizofrenico nella relazione terapeutica è un momento di umanità condivisa. Non ha alcun valore tariffario nella contabilità ospedaliera. La discussione di una tesi di dottorato attestante l’esperienza di vent’anni di pratiche educative in quartieri vulnerabili avrà soltanto un valore folklorico: questo tipo di tesi non obbedisce ai canoni necessari ad ottenere posti e crediti.  

Ci siamo assuefatti all’inimmaginabile, ci siamo assuefatti all’”orrore economico” [9]. Ci siamo assuefatti alla morale dei numeri. In tempo di Covid-19 siamo chiamati a condurre le nostre vite con l’aiuto delle cifre - più o meno valide - da cui riceviamo le informazioni: quale tasso di incidenza? di ospedalizzazione? di morti? di ricoveri in rianimazione? A partire da quale età si deve rinunciare alla rianimazione? A partire da quale tasso di positività dei test si deve entrare in isolamento o stabilire un coprifuoco? A partire da quale età è lecito morire? A partire da quale numero di scioperanti una politica economica è accettabile? A partire da quale soglia di povertà una sofferenza sociale ed esistenziale giustifica un intervento dei poteri pubblici?

Non voglio dire che tutti questi dati siano senza interesse, ma se si accorda loro un potere trascendentale si nasconde il vivente, il singolo, il particolare, si occultano i drammi delle esistenze sociali e soggettive. Mi è insopportabile la violenza che rende comparabili avvenimenti eterogenei ed è questo che mi spinge a scrivere. Non tollero più questa morale economica, morale immorale, insofferente di ogni criterio diverso da quelli che considera veri. Veri, forse, senza dubbio probabili, ma viventi, umani? Certamente no. Quanti pazienti ho ascoltato, angosciati per il “piano bianco” [10] degli ospedali? È normale che oggi, a causa della carenza di organico nei servizi ospedalieri i pazienti vedano le loro consultazioni, le loro indagini, le loro operazioni rinviate? Sì, certo, se non è possibile fare diversamente. Ma abituarsi a questa maniera di giudicare e pensare, considerarla come una norma del vivente e non come il prodotto di un modello di vita sociale e politico, sicuramente no! Ci sono altri criteri per dirigere, prendere decisioni, vivere. Informare non dovrebbe in nessun modo assolvere il potere dalle scelte che ha fatto, che fa o che impone.

Fare delle cifre il pilota automatico impedisce, in modo mostruosamente efficace, la potenza della parola e del linguaggio, condizioni dell’invenzione democratica e dell’”umanità dell’uomo”. La crisi richiede un altro modo di pensare il mondo, richiede utopie in grado di far saltare l’ordine esistente diventato onnipotente e disumano.  Tanto più disumano in quanto persegue i suoi misfatti in nome di un’umanità migliore, più performante, più efficace, “aumentata”. Questa organizzazione del mondo si è talvolta compiuta senza dover inventare altre parole, altri linguaggi, semplicemente invertendone il senso. È tipico delle società totalitarie chiamare libertà la servitù e verità la menzogna [11]. Le cifre non sfuggono a questa perversione sociale: sono utilizzate per governare senza dover discutere.

L’educazione e la cura subiscono trasformazioni che, attraverso il gioco delle grammatiche di apprendimento e la censura introdotta dai codici formali, accrescono per ciascuno l’esigenza di un “controllo di sé” utile alla sorveglianza di tutti. È l’ossatura stessa del processo di civilizzazione descritto dal sociologo tedesco Norbert Elias [12]: la complessità dell’organizzazione sociale e politica dell’Occidente si è accompagnata, attraverso la normalizzazione dei costumi, alla trasformazione dell’organizzazione psichica e simbolica dei soggetti [13]. La norma sociale è interiorizzata, diventa in seno allo psichismo una disposizione ad agire e pensare in un certo modo piuttosto che in un altro. Le istituzioni sociali e culturali stabiliscono le grammatiche e le architetture di un certo modo di stare al mondo sociale e soggettivo. Ritroviamo qui le due facce dell’habitus di Pierre Bourdieu, qualcosa che tende a divenire una seconda natura del soggetto. Lo ripeto: la norma sociale è anche una categoria di pensiero e di giudizio. La norma è indissociabilmente logica ed etica.

È a causa del bisogno di estendere la mia esperienza di psicoanalista alla crisi della società contemporanea che non ho mai abbandonato la strada indicata da Freud, per il quale la psicoanalisi è una “psicologia sociale”, in un senso allargato ma perfettamente giustificato [14]. Da più di vent’anni nei campi che frequento - cura, università, educazione, ricerca, cultura, informazione … - tutti i governi che si sono avvicendati hanno impiantato fabbriche di servitù volontaria e di sottomissione sociale, in nome del progresso e della modernizzazione. Questi dispositivi hanno finito per polverizzare non solo le acquisizioni dello Stato sociale, ma anche il gusto della ribellione del pensiero e il sapore del vivente. Hanno colpito il cuore del legame sociale e il nucleo centrale di esperienza delle soggettività. 

Ci troviamo davanti a una colonizzazione dei costumi e delle menti, analoga a tutte le forme di schiavitù e di sfruttamento umano che la storia ha conosciuto. Senza confondere gli orrori schiavisti e le predazioni umilianti della colonizzazione con la violenza simbolica del taylorismo, questo saggio mostra che essi sono animati da un immaginario comune: l’uomo sarebbe uno strumento votato a produrre e adattarsi a un mondo disincantato, gestito dal numerico. In nome dell’efficacia le fabbriche di servitù si impiantano nelle profondità dell’uomo. La “dinamica dell’Occidente” opera con la razionalizzazione e la strumentazione tecnica a un livello finora inimmaginabile. Per molto tempo la Cina è stata soltanto il subappaltatore di questo processo di civilizzazione tecnica. Grazie a mano d’opera super sfruttata, aveva il compito di fabbricare per l’Occidente gli oggetti tecnologici incorporati nella vita sociale e soggettiva degli occidentali. Da due decenni si è impadronita di questo processo di civilizzazione per la propria gestione sociale, ibridandolo con un immaginario religioso che rispetta il potere e i potenti e spingendo all’estremo l’organizzazione algoritmica del controllo sociale e la sorveglianza generalizzata della popolazione. È diventata la nostra lente d’ingrandimento [15]. 

Non dovremmo mai dimenticare la potenza del numerico, che diventa, almeno in apparenza, fine a sé stesso: “Come una forza della natura, l’era numerica non può essere negata né arrestata.  Possiede quattro qualità essenziali che le permetteranno di trionfare: è una forza che decentralizza, mondializza, armonizza e produce potere” [16]. Gli ultimi vent’anni hanno radicalizzato questa tendenza civilizzatrice e colonizzatrice del vivente.

Questa nuova condizione di un’umanità numerica pretende di legittimarsi grazie a un’ideologia neuro-cognitiva che la fa apparire “naturale”. Le neuroscienze cognitive sono strumentalizzate per arrivare a fabbricare un soggetto neuro-economico che giustifica l’uniforme adattamento degli allievi e la messa in rete dei loro cervelli, i cui cedimenti saranno affidati al recupero neuro-comportamentale delle piattaforme sanitarie.  L’organizzazione del vivente deriva sempre più da una “expertise” puramente tecnica.

Si tratta di un’autentica rivoluzione simbolica, avviata negli anni duemila. Questa rivoluzione produce le sue modalità di rivolta e di insubordinazione: i movimenti sociali inediti che nelle piazze si oppongono alle politiche attuali sono indissociabili dal modo con cui i poteri governano. Governano col controllo e la sorveglianza generalizzata; in cambio i cittadini si oppongono, non senza inscriversi spesso nella stessa antropologia. Ad esempio, dimenticando che cos’è una politica di vaccinazione, i contestatari antivax reclamano il diritto di scegliere secondo la loro appartenenza a una classe d’età (razionalità attuariale degli imprenditori di sé stessi) o in funzione di un desiderio individuale (individualismo di massa). Le culture e le nazioni sono solidali con i loro traditori come con i loro eroi, scriveva Albert Camus, con i loro collaboratori come con i loro resistenti. 

Cosa fare allora? Informare e analizzare partecipano di questa cultura. È necessario trovare un altro linguaggio, altre pratiche sociali, passare attraverso l’utopia per rovesciare l’ordine esistente. È la tesi di questo libro.

Per reinventare la libertà occorre costruire un nuovo immaginario, fare atto di creazione che sia anche resistenza all’assetto di queste società di controllo che governano in nome di informazioni “oggettive”. Occorre chiamare in causa la strega dell’immaginazione, occorre che la potenza poetica del linguaggio raccolga il popolo con nuove utopie per “rovesciare l’abisso” (come diceva Edouard Glissant) dell’imperialismo numerico. Non abbiamo saputo trarre profitto dall’indebolirsi delle certezze che le ultime scoperte, come quelle della fisica moderna, hanno provocato. In tutti i campi del sapere, angosciati dal divenire e dalla molteplicità, non abbiamo saputo utilizzare le lezioni dell’incertezza e della complessità. L’angoscia ci obbliga a semplificare il mondo con gli algoritmi e i materialismi della produzione, del consumo, delle immagini quantificate ma immobili della civiltà. Dobbiamo sperare di mangiare le stelle per uscire dall’ordine esistente. Seppur povero, l’immaginario attuale delle industrie umane e delle scienze “oggettive” detiene un grande potere. Si mantiene impedendo alle scienze sociali di interrogarne le condizioni sociali di produzione. Le ideologie neoliberiste non amano le scienze sociali [17].

Le istituzioni politiche ed economiche mantengono l’ordine esistente e nefasto, ma esso non si mantiene che grazie alla forza delle regole e delle abitudini: e anche dell’habitus. Quest’ordine possiede una funzione soggettiva inevitabile: ha il potere di contenere l’angoscia, l’angoscia del caos e dell’incontro con le ombre che vengono dal paese dei morti. Abbiamo incorporato l’ordine esistente e l’abbiamo fatto nostro. Si è infiltrato nel cuore dei nostri discorsi, nel tessuto della lingua fino a spogliare la parola degli affetti corporei. Codifichiamo il mondo fino a perderne il corpo. Mangiamo algoritmi. 

Questo libro è un invito a farla finita con le fabbriche di servitù, cercando con tutti i mezzi di creazione di trasgredire le posizioni identitarie cui ci obbligano e ci destinano le società dell’informazione.

Il libro deve molto all’affermazione di Gilles Deleuze che “l’opera d’arte non è uno strumento di comunicazione. L’opera d’arte non ha niente a che fare con la comunicazione. L’opera d’arte non contiene letteralmente la minima informazione. C’è invece un’affinità fondamentale tra l’opera d’arte e l’atto di resistenza.” [18] 

Per questo motivo l’atto di creazione è il centro dei mezzi di resistenza sociale alle fabbriche di servitù che il saggio propone. Ogni emancipazione autentica presuppone che si arrivi innanzitutto a uscire dal piano che le attuali parole d’ordine impongono e che ci si rifiuti di allinearsi sul territorio che i poteri hanno calcolato per noi e che cercano di farci prendere per il nostro mondo. Dobbiamo affrontare l’angoscia di perderci nelle scorciatoie avendo come sola bussola la potenza del linguaggio, la forza della metafora e l’autorità del racconto. Utopia? Sì, senza dubbio, io reclamo “l’habitus dell’utopia” come esperienza di pensiero indispensabile per disfare i nodi delle nostre servitù e ridare al linguaggio la sua potenza rivoluzionaria facendo sorgere all’infinito nuove figure per vivere e pensare. L’opera non riduce l’utopia a un genere letterario, alla rêverie politica di un futuro improbabile, ma fa di essa una posizione etica e politica, uno stile, un nuovo nucleo d’esperienza. L’utopia non è un mondo nuovo spostato in un tempo e uno spazio lontani, è ai confini della lingua, nell’infinita spirale dei tropi del linguaggio, ai bordi dei nostri atti di parola. Il racconto, la narrazione, la letteratura sono sempre stati, nella storia delle servitù, vie di emancipazione, forme di marronnage [19] per uscire dalla schiavitù.

(traduzione di Angela Peduto)


Cliccando sul link potrete ascoltare una conversazione con Roland Gori sul suo libro, tenuta a Parigi il 31 gennaio 2022 

https://soundcloud.com/librairie-mollat/roland-gori-la-fabrique-de-nos-servitudes-comment-en-sortir

  1.  Roland Gori, Logica delle passioni, Ed. Franco Angeli, 2006; La dignità di pensare, Ed. Alpes, 2015; Un mondo senz’anima, Ed. Poiesis, 2018
  2. Walter Benjamin, Strada a senso unico, Einaudi, 1983, pag. 59.
  3. Acronimo che indica le cinque grandi multinazionali Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft (NdT)
  4. Espressione resa celebre da La Fontaine. Un cane si fa sorprendere dall’ombra della sua preda, abbandona la vera preda e corre verso questo riflesso che crede reale: così non afferra né l’una né l’altra (NdT)
  5. Georges Canguilhem scrive: “Inutile sottolineare l’uso, cioè l’abuso, di espressioni non pertinenti, quali cervello cosciente, macchina cosciente, cervello artificiale, intelligenza artificiale”, “Le cerveau et la pensée”, in Georges Canguilhem. Philosophe, historien des sciences, Paris: Albin Michel, 1993, p. 21.
  6. Il sinologo Jean-François Billeter evoca questa deliberata ignoranza degli scienziati: “Ciò di cui gli scienziati non hanno coscienza è che la ragione astratta da essi maneggiata con tanto successo deriva dall’applicazione al mondo fisico di una forma d’astrazione che trova la sua origine nella relazione commerciale e che con essa intrattiene un indissolubile legame”, Chine trois fois muette, Paris: Allia, 2000, p. 18 (versione originale pubblicata nel 1991)
  7. Magnifica formula di Gilles Deleuze e di Félix Guattari in Qu’est- ce que la philosophie?, Paris: Minuit, 2005, p. 202
  8. Bertolt Brecht scrive: “Il fascismo tratta il pensiero come un comportamento, il che fa di esso un atto nel senso giuridico, eventualmente criminale, passibile di sanzioni appropriate”, Écrits sur la politique et la société, Paris: L’Arche, 1970, p. 130 (versione originale pubblicata nel 1967).
  9. Viviane Forrester, L’Horreur économique, Paris: Fayard, 1996.
  10. Il “piano bianco” è un piano d’emergenza che permette la riorganizzazione immediata degli ospedali in caso di una situazione sanitaria eccezionale, rinviando trattamenti e interventi non urgenti (NdT)
  11. Secondo la formula di George Orwell in 1984: “War is peace. Freedom is slavery.”
  12. Norbert Elias, (1982), La solitudine del morente, Il Mulino, 2011
  13. Il concetto di habitus è stato formulato da Pierre Bourdieu come “schema di pensiero”, “schema di condotta”. In origine significa “modo d’essere o di agire”, “maniera di comportarsi”. È la traduzione latina di un termine usato da Aristotele per designare le facoltà acquisiste.
  14. Sigmund Freud, (1921), Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Opere, vol. 9, Boringhieri
  15. Simone Pierranni, Red Miror. L’avenir s’écrit en Chine, Caen: C&F Éditions, 2021
  16. Nicholas Negroponte, L’Homme numérique, Robert Laffont, 1995, p. 281.
  17. Tutta l’opera di Pierre Bourdieu attesta quest’odio da parte del neoliberismo verso le scienze sociali, che analizzano le condizioni sociali di produzione delle conoscenze e mettono a nudo i miraggi dell’”oggettivismo”.
  18. Gilles Deleuze, Che cos'è l'atto di creazione, Cronopio, 2010. Raccolta di una conferenza di Gilles Deleuze, tenuta alla Scuola Superiore di Cinema di Parigi nel 1987 e di due interviste rispettivamente del 1983 e del 1986 (NdT)
  19. Era il nome dato allo schiavo che fuggiva dalla proprietà del suo padrone durante l’epoca coloniale (NdT)

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