Elena. Dal mito al simbolo
Elena-Helene, fiaccola o splendore, ma anche Elènas distruttrice di navi, èlandros, distruttrice di uomini, elèpolis distruttrice di città: molti sono i volti di Elena, ma sempre dietro di essi divampa il fuoco che annienta Troia. Narra il mito che Zeus si mutò in cigno per possedere Leda. Leda depose un uovo dal quale nacque Elena. Prodigiosa fu dunque la sua nascita, come fu la sua bellezza. Poi Paride la rapì e la condusse a Troia, scatenando la più spaventosa guerra dell’antichità e generando il poema che dà inizio alla nostra cultura.
Chi fu Elena? Vittima degli dèi o pericolosa incantatrice? Causa prima di una guerra feroce o figura inerme nel capriccioso gioco delle potenze divine? Fantasma o realtà?
A questa figura meravigliosa e inafferrabile nella sua essenza è dedicata la quinta edizione di (Ri)accendiamo il classico. Ci porterà, attraverso le suggestioni del mito, fino alle invenzioni del teatro contemporaneo.
Chi ha partecipato alle giornate precedenti - Supplici (2017), Fedra (2018), Medea di Pasolini (2019), Troiane (2022) - sa che questo progetto culturale scaturisce da un punto preciso – una sorta di seme - che ne è insieme l’elemento generativo, la fonte di energia e il centro gravitazionale: un dramma antico. Da questo punto nascono riflessioni che, obbedendo ad una irrinunciabile esigenza di pluralità, affidiamo a studiosi che hanno provenienze e parlano linguaggi disciplinari diversi. Il momento della riflessione prepara la proiezione del dramma in forma teatrale, che conclude la giornata ed è di solito la registrazione dello spettacolo messo in scena nel Teatro Greco di Siracusa. Questa struttura di (Ri)accendiamo il classico muove da un preciso intento e segue una precisa logica: articolare e connettere elaborazione teorica e azione teatrale, movimento del pensiero e movimento scenico, logos e skené, perché ciascuno dà all’altro una profondità e un’intensità che ogni volta ci sorprendono.
In un mondo fratturato e lacerato, dove nessun dualismo è più possibile e nessuna tranquillità manichea è praticabile, il pensiero e la parola sembrano diventati la sola arma da contrapporre alle forze distruttive, la sola strada da percorrere ostinatamente anche quando appare senza speranza. E poiché non c’è dubbio che la tragedia greca dia enormemente da pensare nell’epoca di incertezza e di caos che ci è dato attraversare, il nostro non vuole essere semplicemente un omaggio all’antichità ma uno sforzo di conoscenza di noi stessi e del nostro mondo alimentato dai testi del passato quali ci vengono restituiti dagli interpreti di oggi.
La tragedia greca non è soltanto un’eredità da trasmettere o un patrimonio da far rivivere: è una costruzione culturale, che dipende da un’elaborazione storica e cambia secondo i diversi momenti della sua ricezione. Questo oggetto culturale si modella e si rinnova, in un gioco di stratificazioni in cui si intrecciano creazioni artistiche, discipline umanistiche – filosofia, storia, letteratura, psicoanalisi, antropologia, storia -, traduzioni, discorsi mediatici, forme dell’immaginario collettivo. Le nostre giornate vogliono essere un contributo a questo movimento di pensiero e di affetti che, come un’onda, dall’antichità s’infrange sulle sponde della nostra modernità e ci interroga.