Editoriale Marzo 2021

Angela Peduto

Nel segno del "trascendimento"

"La fine di 'un' mondo non ha nulla di patologico: è anzi una esperienza salutare, connessa alla storicità della condizione umana.

[…] La fine di 'un' mondo è nell’ordine della storia culturale umana: è la fine 'del' mondo, in quanto esperienza attuale del finire di qualsiasi mondo possibile, che costituisce il rischio radicale."

(Ernesto de Martino, 1977)

È passato un anno: le nostre attività si interruppero esattamente agli inizi di marzo del 2020. Sono stati mesi di silenzio, segnati per noi, come per tutti, dalle esperienze inaudite che attraversavamo. Il silenzio si è imposto quasi senza volerlo: la portata emotiva e affettiva di ciò che accadeva è parsa da subito eccedere la capacità di trasformarla in riflessione autentica. Il pensiero ha bisogno di respiro e di distanza. Abbiamo atteso. Mai come durante la primavera del 2020 abbiamo pensato all’importanza del lavoro di Ernesto de Martino, cui era dedicato il seminario allora in corso e che fummo costretti a interrompere bruscamente. Il disorientamento, la perdita della familiarità del mondo, lo strappo inflitto alle nostre relazioni familiari, amicali, professionali, la frattura nella continuità delle nostre esistenze, tutto ci immergeva in quel sentimento di fine che pochi mesi prima affrontavamo attraverso le sue pagine e la lucidità delle sue analisi. 

I mondi finiscono e il mondo che conoscevamo, con il suo modo di sentire, pensare e governare l’umano, ci appare già finito. La pandemia è ancora in corso e siamo molto lontani dal poter valutare gli enormi danni sociali, psichici, economici che si porterà dietro. Come sarà domani? Si alternano segnali di speranza e di sconforto, avanziamo tra inquietudine, nostalgia del passato, desiderio del futuro.

Ora è tempo anche per noi di rimetterci in cammino. Non abbiamo mai interrotto durante questo anno l’attività di cura né lo scambio sulle nostre pratiche, sottoposte esse pure allo choc dell’assenza dei corpi, che è assenza del mondo sensibile. Ora è giunto il momento di riprendere quella vita culturale e quei momenti collettivi che sono il nostro contributo all’arte di vivere, sognare e pensare insieme, arte più che mai necessaria in questa drammatica transizione storica.   

Lo faremo con Dante: e lo faremo perché il settimo centenario dalla sua morte, che si celebra quest’anno, ci offre l’occasione di riprendere il viaggio pensandolo sotto il segno del trascendimento. Tutto è "trascendimento" nella Commedia: Dante dice “trasumanar”, che vuol dire andare oltre: oltre il conosciuto, oltre il visibile, oltre sé stessi e la stessa facoltà di dire. Dante è poeta e pellegrino, testimone della perdizione e della redenzione e il suo muovere dalle tenebre alla luce – movimento che è sempre levarsi, salire, oltrepassare - è interrogazione sul senso ultimo del peregrinare umano. 

Che il suo viaggio sia fonte di ispirazione e guida nel compito che attende ciascuno di noi: trascendimento della morte, del dolore, della solitudine e della disperazione che abitano questo tempo storico, ma anche di tutto quanto ci pareva noto e occorre invece reinventare, in quello slancio squisitamente umano - per de Martino profondamente etico - che, solo creando, conduce a “riveder le stelle”.

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