Nikos Kazantzakis: alla ricerca d’assoluto

Angela Peduto

“La Libertà, fratelli, non è un vino, né una donna dolce,

né beni nelle dispense, non è un figlio nella culla, 

è un canto altero e solitario che nel vento muore” 

(Odissea, vv. 55-58)

Ci sono autori immensi, destinati a lasciare tracce perpetue e capaci di cambiare l’animo del lettore che abbia avuto la fortuna di incontrarli e leggerli.  Fra i maestri della letteratura europea del Novecento un posto particolare spetta sicuramente al cretese Nikos Kazantzakis: scrittore mosso da insaziabile curiosità e perenne inquietudine, anticonformista, grande intellettuale, instancabile viaggiatore, la sua opera è un canto appassionato alla libertà e un percorso inesausto di ricerca: opera da leggere, da rileggere, di quelle che consolano l’anima nei momenti di oscurità.

In Italia non sono in molti a conoscerne il nome. Tra questi, la maggior parte non ha mai letto una sua opera e prevale semmai il vago ricordo di un film interpretato da Anthony Quinn, Zorba il greco, del regista Michael Cacoyannis, con musiche di Theodorakis (https://www.youtube.com/watch?v=4UV6HVMRmdk). (Anche Martin Scorsese si è ispirato per il film L’ultima tentazione di Cristo, del 1988, a un’opera di Kazantzakis, L’ultima tentazione). 

Dobbiamo a Nicola Crocetti un importantissimo lavoro di traduzione e pubblicazione, grazie al quale oggi i lettori italiani possono avvicinare l’opera di questo scrittore straordinario: l’Ascetica, prosa di contenuto filosofico e metafisico che ha la fluidità e l’eleganza di un’opera letteraria, Il poverello di Dio, romanzo dedicato alla figura di San Francesco, Capitan Michalis, Cristo di nuovo in croce, L’ultima tentazione, romanzi che fecero scandalo presso il clero, l’autobiografico Rapporto al Greco, pubblicato postumo, dove il cretese poeta e scrittore presenta il rapporto sulla sua missione terrena all’altro cretese, il pittore, l’illustre antenato El Greco. 

Kazantzakis viaggiò moltissimo, come testimoniano le pagine dei suoi diari: Parigi, Berlino, Unione Sovietica, Spagna, Inghilterra, Italia, Cipro, Egitto, Monte Sinai, Cina, Giappone [1]. Non viaggiò né per diletto né per bisogno di evasione; il viaggio è per lui ricerca, esperienza dell’ignoto e scavo in ciò che è noto. “Ogni nuova terra che calpestiamo può e deve diventare motivo di espansione della nostra anima”: la conoscenza della terra diventa in lui conoscenza dell’uomo.  Fu sempre permeato dall’idea di avere una missione da compiere: quella che chiamava “ascesa”, esperienza profonda, indomita, dell’umano, dei suoi tormenti, delle sue passioni luminose o cupe, di cui testimoniare attraverso la parola. El Greco, l’antenato al quale farà rapporto alla fine della vita, gli ingiunge in sogno: “Arriva fin dove non puoi!”. 


Nikos Kazantzakis nasce ad Heraklion, a Creta, il 18 febbraio 1883. L’ostetrica osserva il neonato con attenzione e poi annuncia, sollevandolo tra le braccia, che “diventerà vescovo”.

In realtà Nikos sarà destinato dal padre a un futuro di avvocato, ma non prima di essere stato educato all’amore per la libertà. Creta era allora sotto la dominazione turca e lottava per l’indipendenza. L’identificazione con Creta è per lui totale: Creta è il luogo dove Oriente e Occidente si incontrarono in una sintesi irrequieta e feconda; qui le mostruose, immobili, ieratiche divinità egizie e siriane assunsero volto e statura umane; qui il senso del mistero illuminò i gesti quotidiani della vita. Creta è anche la terra umiliata dagli oppressori eppure sempre irriducibile nella sua fame di libertà, quella stessa che pulsa insaziabile in lui, il figlio, il cretese, e lo spingerà a errare come fece il suo doppio, il fratello che un tempo ebbe nome Ulisse.


“È opprimente e ingrato il destino dell’uomo che scrive, perché naturalmente è costretto a utilizzare le parole, cioè a trasformare il suo impeto interiore in immobilità. Ogni parola è un involucro durissimo, che racchiude dentro di sé una grande forza esplosiva; per scoprirne il significato, devi lasciarla esplodere dentro di te come una granata, in modo che liberi così l’anima che imprigiona.

C’era un rabbino che, prima di andare alla sinagoga e pregare, faceva testamento, diceva addio alla moglie e ai figli piangendo, perché non sapeva se sarebbe uscito vivo dalla preghiera. « Perché », diceva, « quando pronuncio una parola, per esempio Kirye … questa parola mi riduce il cuore a pezzi, mi domina lo spavento e non so se riuscirò a passare alla parola successiva … eleison … ». Si potesse leggere così una poesia, o la parola ‘massacro’, o la lettera della donna amata, o questo Rapporto di un uomo che ha molto lottato e molte poche cose è riuscito a realizzare in vita sua” [2].

Nel dicembre 1906 Kazantzakis completa gli studi di diritto alla facoltà di Atene, ma ottiene dal padre il permesso di spostarsi a Parigi per coltivarvi quegli studi letterari e filosofici che sono la sua vera vocazione. Da allora la sua vita è un lungo e per certi versi eroico pellegrinaggio, le cui tracce sono raccolte nel Rapporto al Greco: “Troverai, lettore, in queste pagine, la linea rossa tracciata con le gocce del mio sangue, che segna il mio percorso tra gli uomini, le passioni e le idee”. Una vita errante da un paese all’altro – Parigi, Vienna, Berlino, Mosca, l’Italia, la Spagna, Egina, Cipro, l’Egitto, la Cecoslovacchia, infine Antibes -, da una lingua all’altra – ne parlò sei -, audace e instancabile nella ricerca e nel compimento del proprio destino. “Dentro di me coesistono le forze tenebrose e antichissime del Maligno, umane e preumane; dentro di me coesistono le forze luminose di Dio, umane e preumane; e la mia anima è stata l’arena dove questi due eserciti si sono incontrati e scontrati” “Tutta la mia anima è un grido; e tutta la mia opera è un commento a questo grido”[3].


Le istituzioni greche non lo amarono, soprattutto per la sua eterodossia religiosa e politica. Caso unico al mondo, tutte le istituzioni – Chiesa Ortodossa, uomini politici, scrittori, giornalisti e la potente Accademia di Atene – boicottarono in ogni modo la sua candidatura al Nobel negli anni Cinquanta, scrivendo lettere e raccomandazioni all’Accademia di Stoccolma perché il Nobel non gli venisse assegnato, in quanto “scrittore comunista e corruttore dei giovani”. Nel 1956 il Nobel per la Letteratura fu assegnato per un solo voto ad Albert Camus, peraltro suo ardente ammiratore, al punto di scrivergli che lui “lo avrebbe meritato cento volte di più”.

Quando uscì L’ultima tentazione il libro venne prima condannato dalla Chiesa Ortodossa, poi messo all’Indice dalla Chiesa Cattolica. Kazantzakis rispose soltanto con una frase telegrafata, ripresa da Tertulliano: “Ad tuum, Domine, tribunal appello”. 

E quando morì, nel 1957, la Chiesa Ortodossa regolò i conti in sospeso nel modo più anticristiano possibile, impedendo che la sua salma fosse esposta nella cattedrale di Atene (privilegio riservato perfino agli uomini politici e alle attricette) e che fosse tumulata in un cimitero. La sua tomba si trova perciò sui Bastioni Martinengo di Iraklion, a Creta, con un’epigrafe da lui stesso dettata: “Non temo niente, non spero niente, sono libero”. 


Dotato di un’impressionante capacità di lavoro, Nikos Kazantzakis ha sperimentato i più diversi generi letterari: romanzi, saggi, opere teatrali e poetiche, traduzioni. Ha tradotto in greco moderno i poemi di Omero, la Divina Commedia di Dante, Machiavelli, il Faust di Goethe, Nietzsche, Bergson, i poeti spagnoli, ha scritto dieci romanzi, più di cinquanta opere teatrali, quattro biografie, diversi testi filosofici, resoconti dei suoi innumerevoli viaggi e centinaia di articoli. Oltre ad aver tradotto, per vivere, i dodici volumi del vocabolario Larousse. 

Nel 1938 vide la luce un libro che suscitò sconcerto: un’Odissea di 33.333 versi in decaeptasillabe, dove Kazantzakis fa sua la raccomandazione di Dante - “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” - e crea un Ulisse in cui trasporta ed esprime compiutamente sé stesso e il suo ideale d’uomo. 

Nicola Crocetti ha affrontato l’impresa colossale della traduzione e i lettori italiani oggi possono leggere quest’opera magnifica.

“L’Odissea di Kazantzakis - ha scritto - è un epos grandioso, un unicum assoluto nel Novecento. Il poeta si è immerso nel fluido del Mito, proseguendone l’incanto e il dilemma. Il suo Ulisse è inquietante e potente, omerico e insieme diverso da quello dell’aedo cieco, ma con coerenza e con la stessa forza dell’originale. Come gli uomini plasmano i propri dei, così Kazantzakis plasma il suo Ulisse a propria immagine e somiglianza, gli affida tutti i propri desideri e il compito di portarli a compimento. Primo fra tutti quello di dimostrare che l’uomo e la sua sete di conoscenza trascendono la propria finitezza e sono perenni”[4].

dall’Odissea di Kazantzakis: lettura di Tommaso Ragno per la Fondazione Teatro Due di Parma

https://www.facebook.com/FeltrinelliEditore/videos/1766364586871370/

Lo smisurato amore per la lingua di Kazantzakis si esprime nella ricerca e nella raccolta di parole rare e desuete. La sua Odissea è una specie di arca di Noé: più di 8000 lemmi introvabili su qualsiasi dizionario greco che rendono la lettura difficile per i greci stessi. Parte sono conii dell’autore. Parte sono termini dialettali che Kazantzakis raccolse con un immenso lavoro dal lessico di pescatori, contadini, mestieranti cretesi. Si era accorto che una lingua intera sarebbe morta: pensò di salvarla in un vocabolario.

La sua Odissea inizia là dove finisce quella di Omero: un Ulisse errabondo e inquieto riprende il viaggio, combatte, rovescia governi, incontra la Morte, incontra filosofi, Gesù Cristo, personaggi mitologici. Il viaggio – vero viaggio iniziatico – lo porta infine a navigare verso l’Antartide e l’Aurora australe, per morire schiacciato da un iceberg mentre la sua anima si fa fiamma, luce, spirito.

dall’Odissea: lettura di Tommaso Ragno per la Fondazione Feltrinelli

https://www.facebook.com/FeltrinelliEditore/videos/1766364586871370/

Kazantzakis parla della missione dello scrittore

“Un vero romanziere non può vivere se non nella realtà del suo tempo e, vivendo questa realtà, prende coscienza della sua responsabilità e assume il compito di aiutare i suoi simili a considerare e risolvere, per quanto possibile, i problemi angoscianti della loro epoca. Oggi l’opera letteraria è il riflesso della nostra epoca e una forma d’azione tra le più sottili ed efficaci. O, piuttosto, essa acconsente a diventare seme di un’azione. Il romanziere cosciente della sua missione si sforza di spingere la realtà che scorre informe verso la forma che gli pare la più degna dell’uomo. In epoche più equilibrate, più sicure di sé stesse, la bellezza poteva bastare a soddisfare l’ideale dello scrittore. Oggi uno scrittore, se è davvero vivente, è un uomo che soffre e s’inquieta nel vedere la realtà. 

È spinto a collaborare con tutte le potenze della luce che ancora sopravvivono, a far progredire un po' il pesante destino dell’uomo. Oggi lo scrittore, se è fedele alla sua missione, è un combattente”.

"Un vrai romancier ne peut que vivre dans la réalité de son temps et en vivant cette réalité il prend conscience de sa responsabilité et il se donne le devoir d'aider ses semblables à envisager et à résoudre autant que possible les problèmes angoissants de son époque. L'œuvre littéraire aujourd'hui, c'est le reflet de notre époque et forcément une des formes les plus subtiles et les plus efficaces de l'action. Ou plutôt elle permet de devenir la semence d'une action. Le romancier, s'il prend conscience de sa mission, s'efforce de pousser la réalité qui coule, informe, à prendre la forme qui lui paraît la plus digne de l'homme. En d'autres époques plus équilibrées, plus sûres d'elles-mêmes, la beauté pouvait suffire à satisfaire l'idéal de l'écrivain. Aujourd'hui un écrivain, s'il est vraiment vivant, c'est un homme qui souffre et s'inquiète en voyant la réalité. Il se voit entraîné à collaborer avec toutes les puissances de la lumière qui survivent encore, à faire avancer un peu la lourde destinée de l'homme. L'écrivain aujourd'hui, s'il reste fidèle à sa mission, c'est un combattant"

https://www.historical-museum.gr/webapps/kazantzakis-pages/fr/life/talkforfocus.php

Nikos Kazantzakis parla di Creta (Radio Française, 6 maggio 1955)

“Non vedo Creta come qualcosa di pittoresco e sorridente. Grave è il volto di Creta, scavato dalla lotta e dal dolore. Quest’isola, situata tra Europa, Asia e Africa, era predestinata per la sua posizione geografica a diventare il ponte fra questi tre continenti. Ecco perché Creta è la prima terra in Europa ad aver ricevuto la luce della civiltà venuta da Oriente: duemila anni prima del miracolo greco fioriva a Creta la misteriosa civiltà egea, ancora muta, traboccante di vita, ebbra di colori, di una raffinatezza e di un gusto stupefacenti e ammirevoli. Invano resistiamo all’impronta del passato. C’è un’emanazione, io credo, un’emanazione magica, che irradia dalle terre antiche che hanno molto lottato e sofferto. Come se qualcosa restasse, dopo la sparizione dei popoli che hanno lottato, pianto e amato su un pezzetto di terra.

Questa irradiazione di tempi passati è a Creta eccezionalmente intensa. E vi penetra subito, appena calpestate il suolo cretese. Poi un’emozione più concreta si impadronisce di voi. Chi conosce la storia tragica di quest’isola negli ultimi secoli è colto da un’emozione profonda pensando alla lotta accanita, avvenuta su questa terra, tra l’uomo che combatte per la sua libertà e l’oppressore che si ostina a schiacciarlo. I Cretesi, questi morituri per la libertà, hanno una tale familiarità con la morte che non la temono più. Hanno talmente sofferto lungo i secoli, hanno tante volte constatato che la morte stessa non può abbatterli, che sono giunti alla conclusione che la morte è indispensabile al trionfo del loro ideale e che dalla più grande disperazione comincia la salvezza.

Sì, dura da masticare la vita. Ma i Cretesi induriti nella lotta, avidi di vita, la mandano giù come un bicchiere d’acqua fresca. 

«Come ti è parsa la vita, nonno?», chiesi un giorno a un vecchio cretese di cento anni, crivellato di vecchie ferite, cieco, che si scaldava al sole raggomitolato sulla soglia della sua baracca. Aveva un orecchio fiero, come diciamo noi a Creta, non ci sentiva bene. Gli ripetei la mia domanda: «Come ti è parsa la tua lunga vita, i tuoi cento anni, nonno?» «Come un bicchiere d’acqua fresca», mi rispose. «E hai ancora sete, nonno?» Sollevò con violenza le braccia. «Sia maledetto chi non ha più sete», gridò.

Ecco i Cretesi. Come non farne un simbolo?”


"Je ne vois pas la Crète comme une chose pittoresque et souriante. Grave est le visage de la Crète, creusé par la lutte et la douleur. Cette île située entre l'Europe, l'Asie et l'Afrique était prédestinée par sa position géographique à devenir le pont entre ces trois continents. Voilà pourquoi la Crète est la première terre en Europe qui ait reçu la lumière de la civilisation venue d'Orient ; deux mille ans avant le miracle grec fleurissait en Crète cette civilisation mystérieuse dite égéenne, encore muette, étonnante de vie, ivre de couleurs, d'un raffinement et d'un goût étonnant et admirable. C'est en vain que nous résistons à l'empreinte du passé. Il y a une émanation je crois, une émanation magique, qui rayonne des terres antiques qui ont beaucoup lutté et souffert. Comme si quelque chose restait après la disparition des peuples qui ont lutté pleuré et aimé sur un lopin de terre.

Cette irradiation de temps révolus était exceptionnellement intense en Crète. Et elle vous pénètre aussitôt que vous foulez le sol crétois. Puis une autre émotion plus concrète s'empare de vous. Celui qui connaît l'histoire tragique de cette île ces derniers siècles est saisi en pensant à la lutte acharnée livrée sur cette terre entre l'homme qui combat pour sa liberté et l'oppresseur qui s'acharne à l'écraser. Ces Crétois, ces morituri pour la liberté sont tellement familiarisés avec la mort qu'ils ne la craignent plus. Ils ont tant souffert pendant des siècles ; ils ont tant de fois constaté que la mort –même ne peut pas les abattre, qu'ils sont arrivés à cette constatation que la mort est indispensable pour le triomphe de leur idéal et que du sommet du désespoir commence le salut.

Oui, dure à mâcher est la réalité. Mais les Crétois endurcis dans la lutte, avides de vie l'avalent comme un verre d'eau fraîche. « Comment t'est apparue la vie grand-père ? demandai-je un jour à un vieux Crétois âgé de cent ans, criblé de vieilles blessures, aveugle, il se chauffait au soleil, accroupi sur le seuil de sa baraque. Il avait une oreille fière, comme nous disons en Crète, il n'entendait pas bien. Je lui ai répété ma question.

« Comment t'est apparue ta longue vie, ces cent ans, grand-père ?
-Comme un verre d'eau fraîche, me répondit-il. 
-Et tu as encore soif grand-père ? 
Il leva violemment les bras.
-Maudit soit-il, celui qui n'a plus soif, s'écria-il.
Voilà les Crétois. Comment ne pas en faire un symbole ?

https://www.historical-museum.gr/webapps/kazantzakis-pages/fr/life/talkforcrete.php

  1. Il reportage di un suo viaggio nel Peloponneso è stato tradotto da Gilda Tentorio per Crocetti (La mia Grecia, Crocetti ed., 2021); è appena stato pubblicato Capitan Michalis, sempre nella traduzione di Gilda Tentorio per Crocetti.
  2. Nikos Kazantzakis, Rapporto al Greco, ed. Crocetti, 2015, p. 98.
  3. Ivi, p. 207
  4. https://www.teatrodue.org/dallodissea-di-omero-allodissea-di-nikos-kazantzakis/

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