17 maggio 2025

Agitazione politica: Grand-Guignol*?

Roland Gori
Felix Nussbaum, Masquerade, 1939

(pagine tratte da Dé-civilisation. Les nouvelles logiques de l’emprise, LLL, 2025, pp. 173-187) (trad. di Angela Peduto)

Agitazione politica: Grand-Guignol*?

A contrario di quello che può essere il linguaggio riformista o rivoluzionario, la lingua dell’agitatore si crogiola, si diletta, si nutre del malessere per meglio enfatizzarlo, deformarlo, trasformarlo in spettacolo e commedia, tutto per dominare il pubblico, che ne resta prigioniero. In questo modo l’agitatore “prolunga il malessere sbarrando la strada a una reale comprensione delle sue cause” [1]. Gli agitatori e i propagandisti, soprattutto nella moderna pubblicità, sono tutti “profeti d’inganno” [2] che, con discorsi di seduzione, tentano di conquistare il favore dell’opinione pubblica. Ma, a contrario del propagandista, che può mettersi al servizio di una causa rivoluzionaria o riformista, l’agitatore arringa le folle per amplificare e sfruttare lo scontento sociale e la collera popolare. 

Georgij Plechanov (filosofo, politologo, critico letterario e d’arte russo, 1856-1918) per primo fece una distinzione tra agitatore e propagandista. Lenin commentò questa differenza in maniera sintetica: “Il propagandista inculca molte idee a una sola persona o a un piccolo numero di persone; l’agitatore inculca una sola idea o un piccolo numero di idee, ma le inculca a una massa di persone” [3]. Questo dispositivo mi sembra molto importante per comprendere come la lingua dell’agitazione oggi corrisponda bene alle esigenze delle nostre società globalizzate e frammentate, evidentemente grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie e ai nostri regimi di temporalità e di valutazione: ciò che conta sono gi “scoop” e gli “score” di audience.

Per Leo Löwenthal (sociologo e filosofo tedesco, esponente della Scuola di Francoforte, 1900-1993) la strategia discorsiva degli agitatori somiglia più a quella di un ciarlatano che vanta i benefici di un rimedio miracoloso che a quella di un capo politico, impegnato a fare un’analisi politica o a diffondere elementi di propaganda nella sua folla di adepti. L’opinione pubblica è oggi lavorata da discorsi che infiammano le peggiori pulsioni, ma in nessun modo incoraggiano a riflettere, ad analizzare, a trovare soluzioni al malessere sociale. 

Gli agitatori ingiuriano nemici dai tratti indefinibili o definiti fin troppo facilmente da pregiudizi di razza, di genere o di classe sociale: caricature offerte al saccheggio delle folle. Löwenthal ne traccia un limpido ritratto: “A differenza dell’avvocato del cambiamento sociale, l’agitatore non cerca di definire, per mezzo di concetti razionali, la natura dello scontento, che egli tuttavia sfrutta. Aggrava piuttosto il disorientamento del suo pubblico distruggendo tutti i riferimenti razionali e affermando di preferire comportamenti apparentemente spontanei. L’avversario che designa non ha tratti identificabili razionalmente. Il suo movimento è diffuso e vago e non si rivolge a un gruppo sociale chiaramente definito. Ne rivendica il comando non perché comprenda la situazione meglio di altri, ma perché ne ha sofferto come e più di loro” [4]. 

Sfrutta la diffidenza, la dipendenza, l’esclusione, la precarietà, la disillusione, l’angoscia e l’incertezza. “Abbindola” il suo pubblico a partire da slogan semplicisti che incoraggiano all’azione più che all’analisi, che amplificano le emozioni di vendetta e di risentimento, di umiliazione e di odio, spesso convogliandole sui capri espiatori tradizionali (Ebrei, Arabi, omosessuali, neri …) o le loro immagini rovesciate (bianchi eterosessuali maschi dominanti, “cisgender” …). L’agitatore spinge alla rimozione delle inibizioni e a quella “liberazione” grottesca di cui il Carnevale è la più sublime delle creazioni e il linciaggio pubblico la peggiore.

Il confronto che propongo tra il Carnevale e il burlesco dell’agitazione non è casuale. Come diceva Goethe [5], il Carnevale è una festa che il popolo offre a sé stesso. Mette tutto sottosopra, i folli diventano re, i re si mescolano alla plebe, gli eccessi sessuali e aggressivi sovvertono l’ordine abituale. Così, l’autorità è volta in derisione, ma al tempo stesso rinforzata. 

Giuliano da Empoli osserva che oggi il Carnevale ha abbandonato il suo posto per acquisire una centralità inedita nella vita politica globale. Il populismo se ne nutre, il Movimento 5 Stelle in Italia vi ha trovato radici con il comico Beppe Grillo diventato leader di un movimento “algoritmico” [6]. Il Carnevale ha invaso una “certa” politica che rinnega “il” politico. Da Trump a Bolzonaro, passando per Berlusconi fino a Milei, il grottesco quotidiano, la gaffe monumentale, l’eccesso di ignoranza, sono al centro dell’agitazione politica. 

Dietro il burlesco ci sono le cifre: quelle dei sondaggi, della finanza, dell’audience, che forniscono agli spin doctors e ad altri specialisti dei big data gli effetti sull’opinione, specchio della coscienza collettiva. 

C’è un cinismo alla Hitler in questa riduzione della politica all’agitazione. Nel 1936 Hitler diceva, al congresso di Norimberga, che la propaganda avrebbe permesso al partito nazista di conquistare il mondo e che, in materia di menzogna, “più è grossa più funziona”. Coltivando la collera degli individui, senza trarne un programma coerente di governo, gli agitatori di questo carnevale politico, come Steve Bannon, aspirano solo a “disinibire il loro pubblico”, senza altra preoccupazione ideologica se non che “tutto marcisca”.

Così, l’agitatore conferma i risentimenti immediati degli individui e sembra aprire la strada a un acquietamento del disagio grazie alla scarica delle pulsioni aggressive. Ma al tempo stesso perpetua il disagio, ostacolando la comprensione reale delle sue cause. Con i suoi discorsi dà senso e coerenza al malessere sociale che nasce dai sentimenti di insicurezza e di impotenza nelle situazioni di crisi sociale e politica. È il suo terreno di gioco preferito e abituale, sul quale dispiega caricature stravaganti e sfrutta oscure generalizzazioni di ricordi e di esperienze tanto vaghe quanto scandalose. Ecco il grand-guignol. La potenza dello spettacolo messo in scena dall’agitatore utilizza spesso l’audacia di discorsi irrispettosi, falsamente iconoclasti e il gusto pronunciato per la beffa e il rifiuto delle formalità sociali. La presa in giro e il riso, che hanno generose funzioni “catartiche” e talora dimostrative, sono utilizzate non tanto per illustrare l’analisi politica quanto per “impedirla” con processi di diversione e di divertimento. 

[…]

A contrario del riformista e del rivoluzionario, l’agitatore non cerca una rivoluzione sociale scaturita da analisi economiche e politiche razionali, fondata su argomenti fattuali e dati incontestabili. No, l’agitatore incoraggia la scarica emozionale delle collere e dei risentimenti su “colpevoli” designati attraverso una retorica tanto grottesca e mediocre quanto eccitante: gli “immigrati”, i “ricchi”, i “vecchi”, l’Europa, gli USA, i musulmani, gli ebrei, Israele, gli “altri” …  insomma tutti quelli ai quali si rivolge senza rischiare di identificarsi o riconoscersi in essi. Traccia a grandi linee il ritratto dei cospiratori che minacciano il popolo: potenze “oscure” e nemiche, che approfittano dell’ignoranza delle brave persone per distruggere i “veri” valori dei cittadini.

Non dobbiamo dimenticare l’importanza del “bias di conferma”, che porta gli individui a cercare e interpretare indizi che si accordano con le proprie credenze e i propri pregiudizi. Soprattutto, l’agitatore evita le questioni scomode: i musulmani? Quali? I sunniti? Gli sciti? I wahabiti? Gli alauiti? I Fratelli musulmani? Al-Qaeda? Lo Stato islamico? I sufi? E i “ricchi”? Cosa vuol dire? Gli industriali? Gli azionisti? Quelli che guadagnano più di 4.000 euro al mese? I calciatori milionari? I chirurghi o i radiologi? I dieci miliardari francesi che sequestrano la sfera mediatica? E l’Europa? Quale? Quella di Jean Monnet? di von der Leyen? di Victor Hugo, la cui capitale è Parigi? Delle nazioni federate sostenute dall’estrema destra? I “comunisti”? I “capitalisti”? No, i comunisti capitalisti … meglio. 

Il sincretismo e l’unione confusa delle contraddizioni è la passione di tutti gli agitatori, molti dei quali “flirtano” con i discorsi del fascismo primitivo. Occorre “suggerire” per cominciare a fabbricare un quadro di insicurezza e di paura che invade tutto e al quale l’agitatore dà un nome per introdurre un segno, evitando ogni dialogo. Questo segno è un segnale: deve produrre un’emozione di collera nell’uditore, alla stregua del segnale pavloviano che fa salivare il cane in attesa del cibo … e che dovrà, come il pubblico dell’agitatore, accontentarsi di suoni senza sostanza!

Solo raramente l’agitatore si fa portavoce delle condizioni politiche ed economiche che determinano il disagio sociale. […] La lingua degli agitatori non invita all’analisi intellettuale delle situazioni – che essi trovano ripugnante, al pari degli intellettuali, che detestano -, ma cerca di indurre emozioni violente, reazioni di rifiuto e di odio senza futuro. 

Non è una lingua specifica dell’estrema destra. Oggi ha invaso l’insieme o quasi della vita politica. Spinge il discorso politico, nel migliore dei casi, a una somma di “fatti diversi che fanno diversione” [7]. Si sostituisce all’analisi, al pensiero e al giudizio morale, mentre l’etica politica lascia il posto a quella morale bigotta che Nietzsche odiava! […] Questa lingua è suicidaria per la sinistra democratica e sociale quando essa cede alla facilità di una generalizzazione oscura per spiegare il disagio sociale. […]

L’agitatore sfrutta l’indignazione delle masse contro un’ingiustizia fattuale, palese, per screditare il sistema e offrire lo scontento all’indottrinamento ideologico. Almeno quando agitatore e propagandista appartengono alla stessa causa, il che non sempre accade. La grande difficoltà degli agitatori oggi è proprio trovare una causa che voglia adottarli per trasformare l’agitazione in propaganda politica. Diciamo, in modo generale, che ci troviamo di fronte a due “stili contestatari” presenti nella storia delle rivoluzioni, delle rivolte e delle conquiste del potere. Due stili di discorso che possono, in un certo momento della storia, trovarsi incarnati da personaggi politici: “Mussolini non ha mai superato lo stadio dell’agitatore. Hitler, al contrario, fu un agitatore che seppe elevarsi al livello di sistematizzazione teorica del propagandista” [8].

*Nome, derivato dal burattino Guignol, di un piccolo teatro parigino, a Montmartre, fondato nel 1897 e rimasto attivo fino al 1962. Il nome passò a designare una tipica forma drammatica che ebbe una certa voga, dall’ultimo decennio del 19° sec. alla Prima guerra mondiale, e che s’ispirava al repertorio di quel teatro, costituito da brevi drammi in cui, con azione semplice e serrata, si rappresentavano o si evocavano fatti terrorizzanti per suscitare negli spettatori un senso di angoscia e di orrore, e da farse di una esasperata comicità, satire amare e pungenti. (dall’Enciclopedia Treccani).

Verso partiti algoritmici

Dirò semplicemente che nell’era delle masse ogni partito politico si trova allineato tra i due poli dell’agitazione e della propaganda. Il suo posizionamento sullo scacchiere politico dipende dal grado di intensità di questi due poli, sapendo che il caos al quale aspirano gli agitatori si situa più volentieri agli estremi. Perciò sono due tipi di discorso quelli che vengono indirizzati, a seconda che si voglia “convertire” a una ideologia politica o “arruolare, mobilitare” per un’agitazione. Peraltro i partiti centristi non hanno il privilegio di tenere una parola politica vera e costante. Quando condannano gli “estremismi”, spesso è perché non hanno essi stessi niente da dire. In questi ultimi tempi si rifugiano nelle strategie di discorsi vuoti, quelli della comunicazione e delle pubbliche relazioni.

Tra i due tipi di discorso esistono varie formazioni intermedie. Il dramma contemporaneo si sta trasformando in tragedia, e questo accade a partire dal momento in cui gli uomini politici al potere diventano essi stessi agitatori, si assoggettano al presentismo, si inabissano negli scoop con piccole frasi “massacranti” che ipotecano l’avvenire di un paese, mescolando politica e comunicazione. Che siano candidati alla funzione suprema, alla rappresentazione nazionale, alla direzione di un dipartimento o di un comune, simili personaggi, se confondono la “verità” di un argomento con l’”effetto” prodotto da uno slogan pubblicitario, diventano estremamente pericolosi. Agitatori o “ingegneri del caos”, mettono coscientemente o inconsciamente i popoli sotto “dominio” ed essi stessi si pongono sotto il dominio di un “partito-impresa” o di un “partito-algoritmico”.

[…]

Questa nuova forma politica, plasmata da Internet e dai regimi di valutazione e di temporalità contemporanei, mostra che noi danziamo sulla cima di un vulcano; e che questi “ingegneri” più che fabbricare il caos, come sembra credere Giuliano da Empoli, ne traggono profitto. Sono le sirene della nostra epoca, con i loro canti funesti che chiamano i popoli a precipitarsi nell’abisso.

A fronte del fallimento delle democrazie liberali abbiamo avuto governi autoritari o illiberali, terrorismi e guerre, agitatori grotteschi e urlanti, nostalgici dei nazionalismi, tecno-populisti che, on il loro carnevale algoritmico, fabbricano dittatori zombie e popoli hikikomori … Fra non molto avremo provato di tutto per uscire dal nostro smarrimento attuale. Tutto salvo, forse, ciò che nella storia dell’umanità ha sempre permesso, durante le grandi crisi, di uscire dalla prigione dell’oppressione e dell’evitamento del caos: “la parola e la potenza del suo atto di creazione”, una parola legata al corpo e al mondo, che non teme di affrontare il caos per riportarne una forza capace di dare nuovo senso e nuove forme. In politica come in psicoanalisi, non c’è parola autentica che non porti in sé la traccia del suo scontro con la pulsione di morte.

Non si può “evitare “impunemente questo incontro della parola con la distruttività che è al centro della condizione umana. La “parola piena” sorge dal nulla di cui ha sventato il richiamo, di cui ha assaggiato le delizie mortifere e i tormenti creatori. Senza l’incontro con le forze distruttive la parola si riduce a linguaggio puro, a sistema formale, combinazione di segni, qualcosa che ci priva della prova del corpo e del suo confronto con quello degli altri. La tecnica e il digitale seducono perché schivano, eludono i nostri rapporti con la pulsione di distruzione.  A meno che non siano essi stessi distruttori: distruttori dei corpi, ai quali sostituiscono i profili “astratti” dei dati, distruttori di storie e di responsabilità assunte. Oggi più che mai non dovremmo ignorare l’avvertimento di Albert Camus: “E’ una delle stranezze della nostra epoca. Come si fa l’amore per telefono e non si lavora più sulla materia ma sulla macchina, oggi si uccide e si è uccisi per procura. La pulizia e l’igiene ci guadagnano, ma la conoscenza ci perde.” [9]

Ci occorre soltanto adattare la sua terribile diagnosi del “secolo della paura”, il XX, al nostro “secolo del terrore”, il XXI, il cui carattere distruttivo non ha fatto altro che accrescersi con lo sviluppo delle nuove tecnologie e il loro potere di astrazione e di distruzione. A queste condizioni, i miei lettori comprenderanno che la parola di cui parlo non può essere pura invocazione disincarnata: essa esige un corpo, dei corpi, materia circostante alla quale legarsi e che gli algoritmi distruggono col loro potere estremo di astrazione, premessa di efficacia e di rapidità. Walter Benjamin [10] ne tracciò il ritratto: il carattere distruttivo ha una sola parola d’ordine: fare pulizia, creare spazio, andare avanti, senza esigenza di durata e nel disprezzo di ogni traccia. È questa minaccia dell’”oblio” che la parola deve affrontare e vincere per diventare atto di creazione. 

Un oblio connaturato alle civiltà tanatocratiche, nelle quali le funzioni del linguaggio sono pervertite dalla pulsione di morte, devitalizzate, appiattite in modo spaventoso quanto noioso: ritornelli sinistri dei nostri politici zombie.

In questa lotta incessante tra amore della vita e attrazione per il nulla, il falso, il meccanico, l’inorganico, si collocano le funzioni del linguaggio e si realizzano gli atti di parola. Due sono le funzioni principali del linguaggio: contenere e dare senso al caos delle eccitazioni che sorgono dal corpo vivente, mescolate alla natura, senza i limiti illusori dell’immagine speculare, quella degli specchi e dei selfie, quella delle voci senza corpo e dei corpi senz’anima. Gli atti di parola che ne scaturiscono fanno tutt’uno con quel caos che l’Altro, con la sua propria parola, aiuta a pensare: il mondo delle eccitazioni corporee esige di essere messo in ordine e narrato affinché i pensieri possano fabbricarsi. 

Per uscire dai ritornelli e dalle parole vuote, dalle lingue che il denaro e la dipendenza algoritmica hanno scarnificato, occorre consegnarsi alla festa della poesia e del ritmo, stringere la carne della materia, ricostituire le nostre molecole disciolte nell’oceano della vita. All’alba, dopo la lunga immersione notturna con la quale si confrontano le psicosi, diventa possibile una rinascita, un atto di creazione.

In questa traversata del tragico potremo, forse, furtivamente intravedere ciò che “dobbiamo” al linguaggio e che fingiamo di ignorare. La clinica delle psicosi ci restituisce la posta in gioco soggettiva delle funzioni linguistiche e in tal modo ci rivela su quali perversioni del linguaggio si basano le influenze sociali e le loro manipolazioni. Leo Löwenthal ha meglio di altri saputo formulare l’abisso che separa la parola vuota dell’agitatore dalla parola piena del rivoluzionario o del riformista: “Il disagio può essere paragonato a una malattia della pelle. Il paziente che ne soffre sente istintivamente il bisogno di grattarsi. Se segue i consigli di un medico competente eviterà di grattarsi e cercherà un rimedio alla causa dei suoi pruriti. Ma se cede alla prima reazione si gratterà con sempre maggior vigore. Questo esercizio irrazionale di automutilazione gli procurerà un certo sollievo ma, nello stesso tempo, aumenterà il suo bisogno di grattarsi e non permetterà alla malattia di guarire. L’agitatore dice ‘Continuate a grattarvi!’” [11]

*Nome, derivato dal burattino Guignol, di un piccolo teatro parigino, a Montmartre, fondato nel 1897 e rimasto attivo fino al 1962. Il nome passò a designare una tipica forma drammatica che ebbe una certa voga, dall’ultimo decennio del 19° sec. alla Prima guerra mondiale, e che s’ispirava al repertorio di quel teatro, costituito da brevi drammi in cui, con azione semplice e serrata, si rappresentavano o si evocavano fatti terrorizzanti per suscitare negli spettatori un senso di angoscia e di orrore, e da farse di una esasperata comicità, satire amare e pungenti. (dall’Enciclopedia Treccani).

1. Leo Löwenthal, Norbert Guterman, Les prophètes du mensonge, Etude sur l’agitation fascste aux Etats-Unis, La Dècouverte, 2019 [1946], p. 80 (trad. it. I profeti dell’inganno, PM ed., 2025)

2. Ibid., p. 61.

3. cit. da Jean-Marie Domenach, La propagande politique, PUF, 1950.

4. L. Löwenthal, N. Guterman, op. cit., p. 63.

5. J. W. Goethe, Les années de voyage de Wilhem Meister, Gallimard, 2020, [1821] (trad. it. Gli anni di viaggio di Wilhelm Meister, Medusa ed., 2005)

6. Giuliano da Empoli, Les ingénieurs du chaos, JC Lattès, 2019 (trad. it. Gli ingegneri del caos, Marsilio ed., 2019).

7. P. Bourdieu, Sur la télévision, Raisons d’agir, 1996 (trad. it. Sulla televisione, Feltrinelli, 1997).

8. L. Löwenthal, N. Guterman, op. cit., p. 77.

9. Albert Camus, “Ni victimes ni bourreaux” (1946), in A Combat, Gallimard, 2002, p. 641 (trad. it. “Né vittime né carnefici”, in Mi rivolto dunque siamo, Eléuthera, 2008).

10. Walter Benjamin, “Le caractère destructeur” (1931), in Oeuvres, II, Gallimard, 2000 (trad. it. Il carattere distruttivo, Mimesis, 1995).

11. L. Löwenthal, N. Guterman, op. cit., p. 76.

Letture Suggerite

Attività 2025

In questa sezione del sito si trovano notizie relative alle attività del 2025 e le informazioni necessarie per sostenere l'Associazione: abbiamo bisogno del vostro aiuto per mantenere attiva e vivace la nostra offerta culturale.
Sosteneteci destinando il 5x1000 a OfficinaMentis APS (codice fiscale 91319210372).

SCOPRI DI PIÙ

Iscriviti alla Newsletter

Sarai sempre aggiornato sulle nostre attività e sui nuovi contenuti del sito.

Thank you! Your submission has been received!
Oops! Something went wrong while submitting the form.

Iscriviti alla Newsletter

Sarai sempre aggiornato sulle nostre attività e sui nuovi contenuti del sito.

Thank you! Your submission has been received!
Oops! Something went wrong while submitting the form.

Potrebbe Interessarti

(In)attualità del Pensiero Critico

Ernesto de Martino

2018-2020
scopri di più
Riaccendiamo Il Classico

Le Supplici di Eschilo: ieri e oggi

7 dicembre 2017
scopri di più
Convegno sul Sogno

Il Sogno

Angela Peduto
25 maggio 2013
scopri di più
Convegno sul Transfert

Pluralité des transferts dans le travail avec les enfants. Le point de vue de l'École Française

Claude Boukobza
12 novembre 2011
scopri di più
La Musa Inquieta

Sarajevo, centro del mondo

5 luglio 2025
scopri di più
Pagine Nomadi

«Orgogliose come demoni»: le monache ribelli di Port-Royal

Silvana Bartoli*
24 maggio 2025
scopri di più