Discorso di conferimento del Dottorato honoris causa in Scienze Politiche, Parigi, a Elena Zhemkova

Elena Zhemkova

Che cos’è Memorial?

Memorial nasce nel 1987 nel clima di apertura e di glasnost (trasparenza) della perestrojka (ricostruzione). La dissidenza degli anni Ottanta e l’attivismo politico dell’era Gorbaciov uniscono le loro energie per far emergere una verità storica fino allora occultata: la storia dei crimini perpetrati dal regime sovietico, in particolare negli anni della repressione e del terrore staliniano. Andrej Dmitrievič Sacharov, celebre premio Nobel per la pace nel 1975, è il primo presidente.

Documentare e perpetuare la memoria storica di questo cupo passato, partecipare alla lotta contro il totalitarismo in ogni tempo e in ogni luogo, difendere i diritti umani: è questo il compito di Memorial.

Il 30 ottobre 1989 Memorial organizza una grande catena umana in piazza Lubianka per commemorare i prigionieri politici. La piazza Lubianka è sede del KGB e, prima ancora, dell’Nkvd (Comitato per la sicurezza dello Stato, organo di polizia segreta dell’URSS): luogo simbolico di repressione, di oppressione, di tortura. Da allora il 30 ottobre ricorre in Russia la giornata in ricordo delle vittime delle repressioni politiche: fino al 2022, quando la giornata viene cancellata d’autorità.

A partire dal 2007, ogni anno, la vigilia del 30 ottobre è diventata il momento della “restituzione dei nomi”: simbolo politico e culturale di Memorial, si svolge secondo una modalità meno ufficiale e più libera. Davanti al masso proveniente dal lager delle isole Solovki, chiunque può presentarsi e leggere pubblicamente il nome (e pochi altri dati) di una vittima delle repressioni politiche avvenute durante il Grande Terrore. “Chiamare per nome” rende concreta una vita e sottrae all’oblio coloro che sono morti due volte, la prima fisicamente, la seconda nel silenzio della cancellazione. La poetessa Ol’ga Sedakova ha detto: “Per me questo è il giorno più importante del calendario. In piazza Lubjanka, quando si leggono i nomi degli innocenti che sono stati uccisi, si prova allo stesso tempo un profondissimo dolore e una profonda purificazione, come nella tragedia greca. Non c’è altro evento pubblico che faccia provare una cosa del genere. È molto importante che a leggere i nomi vengano sia persone per le quali queste vittime fanno parte della propria memoria personale e familiare, sia persone che non hanno avuto vittime fra i parenti”.

Questo modo profondamente umano di restituire un’identità a chi è stato annientato dalla brutalità della violenza di Stato esprime pienamente la visione del mondo di Memorial: l’attenzione e la cura per l’uomo, per la singola persona, per il singolo destino.

Il 29 dicembre 2021 il Tribunale di Mosca ha ordinato la chiusura del “Centro Memorial per i diritti umani”, giudicato colpevole di aver violato la legge sugli “agenti stranieri” e aver “giustificato il terrorismo e l’estremismo” pubblicando sul proprio portale una lista delle persone imprigionate per ragioni politiche a seguito di processi iniqui.  Il giorno prima, il 28 dicembre, la Corte suprema aveva disposto la chiusura dell’organizzazione sorella Memorial International. La decisione viene confermata il 27 febbraio 2022, tre giorni dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina.

Il 21 giugno 2022 è stato conferito a Elena Zhemkova, direttrice esecutiva di Memorial International, il dottorato honoris causa in Scienze Politiche di Parigi. In questa occasione E. Zhemkova ha pronunciato un importante discorso, che diffondiamo in traduzione italiana (Angela Peduto).

La versione originale si può leggere sul sito di Le Grand Continent. La traduzione è di Angela Peduto.

Discorso di Elena Zhemkova (Memorial international)

21 giugno 2022, Parigi

Samuel Bak, Study C, 1995

Cari amici!

Mi è stato chiesto di tenere una conferenza sullo stato della memoria storica nella Russia di oggi e, in particolare, sul lavoro dell’organizzazione Memorial. Mi permetterò di rinunciare al genere della conferenza, poiché non mi considero né una ricercatrice in storia, né un membro della comunità scientifica universitaria. Sono un’attivista civica e mi occupo di gestione. Cercherò semplicemente di parlarvi di Memorial, del suo lavoro, delle sue difficoltà, dei diversi contesti nei quali il nostro lavoro si è sviluppato e si sviluppa e del modo con cui personalmente io percepisco questi problemi e questi contesti.

In trentacinque anni di esistenza il movimento “memorialista” ha percorso un lungo cammino: qualche gruppo di persone all’inizio, poi l’idea di fondare a Mosca un complesso memoriale destinato a preservare la memoria delle vittime del terrore staliniano (da qui il nome del nostro movimento, Memorial), infine una rete di decine di organizzazioni consacrate alla storia e alla sua comprensione, nonché alla difesa dei diritti umani, attive in molte città della Russia, in Ucraina, in Germania, in Italia, nella Repubblica Ceca, in Francia.

Fin dall’inizio del nostro lungo cammino abbiamo capito due cose. Innanzitutto che un grande complesso memoriale fatto di marmo e di granito poteva aspettare: il nostro compito principale era raccogliere e salvaguardare la memoria del terrore che, ancora poco tempo prima, era un soggetto quasi vietato, bandito dalla scena pubblica. Poi, che se noi non avessimo realizzato questo compito nessun altro l’avrebbe fatto. Era poco prudente affidarsi allo Stato.

Nel gennaio 1989 i rappresentanti di vari gruppi si riuniscono in congresso e viene creata la società Memorial storica ed educativa. Dopo lo smantellamento dell’URSS, nel 1991, prenderà il nome di Memorial international.

[Mito fondatore: durante i funerali di Sacharov, dicembre 1989, Gorbaciov dice a Elena Bonner: “Dopo i funerali rifletteremo su come commemorare Andreï Dmitrievitch”. Lei risponde senza esitazioni: “Non c’è bisogno di riflettere! Registrate Memorial e sarà reso immortale”. Un mese dopo la morte di Sacharov, il ramo moscovita di Memorial viene autorizzato col nome di Memorial storico ed educativo]

Alla fine degli anni 1980 e agli inizi degli anni 1990 nasce per Memorial un nuovo campo d’azione: la difesa dei diritti umani. Come sapete, all’epoca scoppiano numerosi conflitti sul territorio dell’ex URSS, conflitti il più delle volte inter-etnici; alcuni, con nostro stupore, si trasformano in vere e proprie guerre. Non era affatto facile prendere in esame la storia delle violazioni dei diritti umani, quando tutto intorno si continuavano a commettere crimini.

Memorial creò il suo Centro per i diritti umani, il cui lavoro si concentrò in primo luogo sui “punti caldi” dello spazio post sovietico: l’alto Karabakh, la Transnistria, l’Ossezia del Sud, il Tajikistan, poi, più tardi, la Cecenia.

Mi sembra importante definire la visione del mondo che, fin dall’inizio, ci ha uniti e, durante tutto questo periodo, ha implicitamente ispirato le nostre attività storiche, culturali, educative, civiche e di difesa dei diritti umani. Non si tratta di una ideologia nel senso abituale del termine, si tratta di una visione del mondo che chiamerei “anti-totalitaria”.

Non vorrei entrare nel dibattito degli ultimi anni sull'attualità o la pertinenza del termine “totalitarismo”, tanto più che mi trovo, se ho ben capito, di fronte a un uditorio composto essenzialmente di specialisti in scienze sociali. Se il termine è invecchiato e non soddisfa più gli storici, i sociologi e i politologi, allora dovremo trovarne un altro più appropriato. Per quanto ci riguarda, lavoriamo su un soggetto molto concreto: la storia del regime terrorista sovietico e le sue attuali conseguenze per la Russia, l'Europa e il mondo. E il nostro obiettivo è far emergere con precisione gli aspetti molto concreti di questo flagello e le sue conseguenze.

Non guardiamo al terrore in modo ideologico, ma a partire dal nostro sistema di valori, che discende dalla tradizione umanistica e si fonda sulla priorità della vita e della libertà umana al di là di ogni altra cosa, compresi gli interessi dello Stato, di un partito, di una classe sociale ecc. E, per noi, la radice del male, la sua pietra angolare sta nel tentativo di collocare una qualsivoglia categoria astratta, sia essa un'idea, una religione, una nazione, uno Stato, al di sopra dell'essere umano. Per questo l'unità di misura di ogni conoscenza storica, di tutti quei blocchi di memoria storica che Memorial raccoglie e su cui lavora, è sempre stata e rimarrà il destino unico di ciascun individuo.

È anche importante sottolineare che non consideriamo il totalitarismo sovietico (perdonatemi, sono abituata a questo termine e continuo a usarlo) come un fenomeno storico locale. Questo regime, esattamente come il nazismo hitleriano, è uno dei volti di un male internazionale e universale. Oggi abbiamo la terribile conferma che quel male che abbiamo cercato di sradicare è sempre vivo. Guardate con quale facilità e rapidità - sulla scala del tempo storico - ha modificato la sua facciata ideologica, si è sbarazzato dei suoi stracci comunisti per vestire gli abiti della grande potenza imperialista e rappresentare oggi per il mondo intero una minaccia quasi più grave del vecchio regime sovietico.

Che cosa ha dunque fatto Memorial nel corso degli ultimi trentacinque anni?

In primo luogo, abbiamo realizzato ciò che avevamo promesso fin dall'inizio: abbiamo costituito fondi d'archivio, biblioteche e fondi di collezioni museali.

[L’archivio e la traccia sono le armi di Memorial per svelare, valutare e documentare il terrore e la violenza dello Stato totalitario e, grazie a questo lavoro, restituire dignità ad ogni individuo e ad ogni famiglia sovietica.

Essere archivisti e storici nello stesso tempo è il DNA di Memorial. Alcuni sono memorialtsy prima ancora di arrivare a Memorial. È il caso di Nikita Petrov che, studente di chimica, agli inizi degli anni 1980 passa in rassegna sistematicamente i giornali della biblioteca Lenin per cercare i nomi dei quadri del Terrore, tutti quei cekisti al servizio di Yagoda, di Ezhov, poi di Beria. Mette insieme una prima base di dati che lo avrebbe fatto finire in carcere se la perestroika non gli avesse in seguito consentito di proseguire questo lavoro alla luce del sole nell’organizzazione Memorial]

Nei nostri archivi si trovano documenti personali, estratti di istruzioni giudiziarie, lettere inviate da prigioni o da campi, diari, memorie, pubblicazioni del samizdat dedicate alla Resistenza degli anni 1950- 1980. Tutte queste raccolte si costruiscono non solo a Mosca, ma anche a San Pietroburgo, Syktyvkar, Krasnoyarsk, Rjazan, Tomsk e altre città. A Mosca e San Pietroburgo abbiamo realizzato grandi biblioteche intorno al tema del terrore.

Tutto è aperto al pubblico e accessibile: i nostri archivi sono serviti a migliaia di ricercatori di tutto il mondo (ma soprattutto russi, ovviamente), a studenti, giornalisti, cineasti, insegnanti di scuola secondaria e superiore, semplici persone interessate.

I tanti oggetti che abbiamo raccolto hanno permesso di organizzare decine di mostre in molti luoghi della Russia e all'estero.

Tutto questo è e rimarrà parte del patrimonio storico e culturale russo e mondiale.

Alcune delle nostre risorse sono uniche. Sul nostro sito, intitolato “Vittime del terrore politico nell'URSS”, si trovano informazioni su oltre tre milioni di persone che hanno subito repressioni politiche, il che rappresenta, secondo le stime più modeste, soltanto un quarto del numero totale delle vittime. Ciò nonostante, si tratta del più importante database esistente al mondo sull'argomento.

Ricercatori di Memorial, insieme ad altri storici russi e stranieri, hanno scoperto negli archivi del KGB un gran numero di documenti importanti. Alcuni hanno letteralmente sconvolto la nostra visione dei meccanismi e dell'ampiezza delle ondate di terrore. E mi sembra che Memorial abbia lavorato bene per informare il grande pubblico di queste scoperte, come pure per liberare la storia del terrore dai miti che la circondavano e la circondano ancora nella coscienza collettiva.

In questi anni abbiamo pubblicato circa mille libri e opuscoli, fatto pubblicare migliaia di testi in periodici (negli ultimi anni è diventato molto più difficile far circolare questo tipo di testi, ma rimane talvolta possibile). Abbiamo organizzato con successo centinaia di "serate del ricordo", colloqui, seminari aperti al pubblico e tavole rotonde.

Memorial è anche una serie di programmi storici ed educativi, essenzialmente destinati ai giovani. Così come le spedizioni di ricerca che hanno permesso di scoprire numerose fosse comuni tenute segrete, contenenti i corpi di fucilati o vittime dei campi di lavoro forzato. O ancora le manifestazioni pubbliche del ricordo che si tengono regolarmente in tutta la Russia, e ora anche all'estero. Memorial è tutto questo.

[Anche i giovani partecipano con successo e inventività al lavoro di memoria e di storia realizzato da Memorial. I contributi di Memorial propongono una serie di temi sull’individuo del XX secolo soggetto alle repressioni; i media offerti vanno dal research paper di 15-30.000 battute al post di una storia di famiglia su una rete social all’intervista di un testimone, a una clip o un videogioco, alla performance Tik Tok]  

Ma oggi è più importante parlare, anziché dei nostri successi, di ciò che non abbiamo saputo o non abbiamo potuto o non abbiamo avuto il tempo di realizzare. O che abbiamo trascurato.

Le domande che sentirete sono quelle che molti di noi continuano a porsi e alle quali ognuno dà le proprie risposte.

Personalmente, ciò che mi riempie di tristezza e di amarezza è la mancanza di documenti sui testimoni dell'epoca; non abbiamo raccolto abbastanza interviste di coloro che hanno vissuto i campi, l’espulsione, la deportazione. Le nostre forze e le nostre risorse sono state troppo scarse per programmi di “trasmissione orale” della storia, e adesso è troppo tardi: quasi tutta questa generazione ci ha lasciati. È molto difficile.

Ma abbiamo anche problemi di ordine più generale.

Abbiamo fatto bene a concentrare il lavoro di Memorial quasi esclusivamente sul terrorismo di Stato? Non conveniva prestare maggiore attenzione ad altre caratteristiche fondamentali dell'ordine sovietico? alla repressione totale dei diritti civili, all'annientamento della società civile, alla censura e ad altre forme di controllo dello Stato sulla cultura e la vita intellettuale del paese? Alla propaganda onnipresente e totalmente menzognera, alle disuguaglianze sociali, al degrado dell'economia? Tutte queste questioni hanno occupato un posto piccolo, troppo piccolo, nella nostra ricerca e nel nostro lavoro di educazione alla storia. E ora su queste lacune fiorisce il nuovo mito del “radioso passato sovietico”, macchiato solo da qualche episodio di repressione. Questo mito, man mano che si sviluppa, respinge il ricordo stesso del terrore ai margini della coscienza collettiva. Naturalmente, Memorial non è il Ministero dell'Educazione o un insieme di laboratori e istituti di ricerca; è solo una ONG con risorse limitate. Abbiamo cercato di promuovere ricerche globali e interdisciplinari sulla storia del periodo sovietico e a volte abbiamo avuto successo. Tuttavia mi dispiace perché non siamo riusciti a suscitare tra la popolazione un più ampio interesse per questo tema.

[Gli storici di Memorial, storici per convinzione più che per professione, hanno contribuito in modo decisivo alla conoscenza del Terrore staliniano. Grazie al lavoro di Memorial e alla sua azione per l’apertura degli archivi della repressione conosciamo le operazioni di massa del Grande Terrore, l’ampiezza dell’arcipelago del Gulag, la violenza congiunta di Hitler e di Stalin contro il popolo sovietico.

Hanno permesso questa conoscenza le statistiche generali, ma soprattutto la miriade di storie individuali, di coloro che erano “privati dei diritti umani […]  senza alcun diritto, schiuma della terra.” – per riprendere la bella espressione di Hannah Arendt.

Dopo il putsch dell'agosto 1991 e la messa al bando del Partito Comunista in Russia da parte di Boris El'cin, Memorial esercita tutta la sua influenza per ottenere la declassificazione degli archivi, il che va di pari passo con l'accertamento delle responsabilità, la riabilitazione delle vittime, il diritto di accesso ai loro dossier e il diritto al risarcimento. Vengono portati alla luce documenti cruciali del Terrore staliniano. Si tratta di stabilire le prove d'archivio nel quadro di quello che dovrebbe essere un processo al Partito comunista; il processo tuttavia non avrà luogo.

Archivi e giustizia transizionale: vengono mostrati i documenti che provano il massacro di Katyn'.

Archivi e diplomazia: Boris El'cin consegna a Lech Wałęsa nel 1992 la prova della responsabilità di Stalin e Beria nel massacro.

In questo contesto, la prima scoperta riguarda un'intera sezione del Grande Terrore che Chruščëv, durante le rivelazioni al XX Congresso, aveva accuratamente taciuto: le operazioni ultrasegrete del 1937-1938 che nella massima segretezza portano all’assassinio di 750.000 persone e alla deportazione di quasi un milione. Vediamo in una fotografia scattata a Mosca, accanto ai fondatori di Memorial, Robert Conquest, che aveva scritto nel 1968 l'opera di riferimento sul Grande Terrore. Ma questa storia va riscritta, perché l'epurazione delle élite e i grandi processi di Mosca rappresentano in realtà solo il 10% delle vittime.

La riscrittura della storia sovietica a partire dagli archivi che si vanno aprendo è un lavoro collettivo tra i pionieri di Memorial, i nuovi storici dello stalinismo in Russia e Ucraina e gli storici dell'Europa e degli Stati Uniti. Simposi, conferenze, progetti comuni testimoniano la fine della rottura tra l'Occidente e il blocco sovietico. Alexander Gourianov, in connessione con l'organizzazione Karta in Polonia, ha stabilito in maniera definitiva la storia dell'operazione polacca nel 1937-1938 e quella di Katyn']

Devo dire che, in tutti questi anni, abbiamo cercato soprattutto di documentare i crimini del regime sovietico: i nostri archivi, biblioteche, database sono fonti primarie di informazione: pura “fattografia”, materia grezza. Non abbiamo invece lavorato in modo sufficientemente sistematico sull'interpretazione di tutte queste testimonianze, sull'introduzione del racconto del terrore nel contesto storico generale.

Certo, mi sembra che, a titolo individuale, gli storici di Memorial abbiano fatto progredire la concettualizzazione. Senza dubbio siamo sulla strada giusta; è così che dobbiamo andare avanti: dai fatti accumulati verso la loro interpretazione. Semplicemente non abbiamo avuto il tempo di percorrere questa strada fino in fondo.

La domanda più difficile, la più terribile è questa: può darsi che il nostro lavoro di trentacinque anni sia stato inutile? Il fatto stesso che una parte consistente della popolazione russa resti indifferente agli avvenimenti attuali e che un'altra parte, apparentemente altrettanto importante, sostenga attivamente l'”operazione militare speciale” in Ucraina, non significa che abbiamo perso su tutta la linea?

In Lituania e in Ucraina, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Polonia, la democrazia e la libertà hanno avuto successo, in misura maggiore o minore, e si è potuto fare i conti col passato. Non è avvenuto in Russia, e il motivo non è chiaro.

Le spiegazioni possono essere molte: alcune rinviano a fatti storici concreti degli anni Novanta, altre sono più teoriche. Mi soffermerò su una di esse, che ritengo essenziale.

Tra tutti i paesi dello spazio post-sovietico, la Russia è stata la sola a non disporre dell'”alibi” di poter considerare il periodo sovietico come un’“occupazione straniera”. Lasciamo da parte la difficile questione di sapere in che misura questo alibi corrisponde, nei nostri vicini, alla realtà storica (in parte sì, ma non sempre); il fatto stesso che questo “alibi” figuri nella loro narrazione storica e vi giochi un ruolo, facilita la risposta alle domande più dolorose sul periodo sovietico della loro storia nazionale. Solo in Russia il passato sovietico (come il passato imperiale in generale) continua a esistere e a far parte integrante della narrazione storica nazionale. Noi non abbiamo nessuno a cui reindirizzare la nostra colpa storica, siamo obbligati ad assumere tutta la nostra eredità storica, con i suoi aspetti positivi e negativi, le sue ascese e le sue cadute, i suoi successi, le sue vittorie e i suoi crimini. Per questo in Russia la questione della colpa e della responsabilità si pone con particolare intensità; ecco perché la questione della ripartizione dei ruoli di “vittima” e di “carnefice” tra gli attori della storia è incomparabilmente più complessa e tragica che per i nostri vicini.

Ne consegue che da noi le “guerre di memoria” fanno parte della vita politica corrente e negli ultimi anni sono tornate al centro della politica interna del paese. Queste guerre per noi sono guerre civili.

A casa nostra abbiamo perso definitivamente “la guerra per la storia”?

Continuo a farmi questa domanda e non so rispondere in modo univoco. Essa pone il problema dei criteri del successo o del fallimento; o, più semplicemente, tutto dipende dal punto di vista da cui si guarda.

Ho già detto che tutto ciò che Memorial ha realizzato (come altre organizzazioni della società civile, ovviamente), senza fretta, con un lavoro sistematico e pedagogico di lungo respiro, non è scomparso e non scomparirà. Il nostro lavoro sarà sempre necessario alla società e la domanda non cesserà di crescere, date le condizioni attuali, perché la conoscenza permette a ciascuno di fare una scelta personale adatta alla situazione. E anche l'attivismo civile non è scomparso. Oggi siamo testimoni, nelle capitali come nelle province più remote, di una reviviscenza contestataria, di manifestazioni spontanee contro la guerra, di slogan e volantini sui muri. E questo in condizioni di repressione molto violente, che avevamo avuto il tempo di dimenticare negli ultimi trent'anni.

Per me, la questione dell'inutilità del nostro lavoro di trentacinque anni, della battaglia per la storia perduta, è difficile ma non essenziale. La domanda fondamentale è un'altra: abbiamo intenzione di continuare il nostro lavoro nel nuovo contesto attuale? E a questa domanda rispondo senza esitazione: sì, abbiamo intenzione di farlo. Naturalmente, continueremo la nostra opera degli ultimi trentacinque anni. La Corte Suprema della Federazione Russa ha sciolto Memorial International? Ebbene, finché esisterà una domanda continueremo, e nessuna Corte Suprema potrà vietarci di farlo. E il nostro lavoro ritroverà, in un modo o nell'altro, nuove forme e una nuova organizzazione.

La necessità del nostro lavoro educativo nel campo della storia, lo dico e lo ripeto, non solo nel campo della difesa dei diritti umani ma innanzitutto nell'educazione alla storia, non è sparita, anzi è notevolmente aumentata nel corso degli ultimi anni. Ed è naturale: più il regime attuale ricorda il vecchio regime sovietico, più la repressione diventa dura e violenta, più la propaganda ufficiale cerca di imporre vecchi e nuovi miti storici, più forte è il bisogno, nella parte attiva e responsabile della popolazione, di capire la vera storia del paese e più forte è la domanda di informazioni che possano aiutare a capirla. Soprattutto tra i giovani.

E rispondo ora ad un'altra domanda che fino a poco tempo fa ci tormentava. Continuiamo a chiederci se Memorial non sarà il “progetto di una sola generazione”. Per coloro che avevano vissuto il terrore staliniano le cose erano chiare: Memorial era parte di sé stessi. Ma questa generazione è quasi scomparsa. Nessuna esitazione anche per quelli nati negli anni 1950-'60: erano cresciuti in un'URSS post-stalinista, un'epoca il cui fattore determinante era la mancata liquidazione del bilancio passivo staliniano. Negli anni della perestrojka avevamo 20-30-40 anni. Ma noi pure lasciamo gradualmente la scena. Quale sarà il destino della nostra opera? A chi trasmetteremo Memorial?

Ed ecco che, dai primi anni 2010, abbiamo constatato con stupore un flusso importante di giovani: non solo a Mosca, sempre all'avanguardia, non solo a San Pietroburgo, ma anche in molti dei nostri uffici regionali.

È vero che il nostro passato non è purtroppo rimasto nel passato: è la nostra sconfitta. Ma questa sconfitta è diventata per noi fonte di forza e garanzia della nostra esistenza futura. Dobbiamo rallegrarcene o rattristarci? La questione è, a mio avviso, fuori luogo. Occorre soltanto tenerne conto.

Naturalmente, negli ultimi quattro mesi la situazione è cambiata. Assistiamo a un'emigrazione significativa fuori dalla Russia. Secondo le informazioni, circa mezzo milione di persone avrebbe lasciato la Russia in un periodo di tempo molto breve. È evidente che molti attivisti della società civile, anche membri di Memorial, se ne sono andati. E soprattutto i giovani, perché sono più mobili. È un problema per noi?

Per noi, come per l'intero paese, è un fenomeno doloroso. L'emigrazione rappresenta sempre una scelta personale difficile, accompagnata da discussioni interminabili sulla questione se sia moralmente giustificato partire o moralmente giustificato restare.

Questi scambi, che si trasformano talora in invettive da entrambe le parti, appartengono alla tradizione storica e culturale russa. Orbene, attorno a Memorial queste discussioni sono quasi inesistenti: perché è evidente a tutti che per noi c'è lavoro da fare su entrambi i lati della frontiera. E che i moderni mezzi di comunicazione permettono di preservare l'unità della nostra comunità, centrata intorno alla nostra opera e ai nostri compiti comuni, ovunque si trovino i nostri membri. Il nostro nome non è solo Memorial, ma Memorial International.

Per concludere, vorrei dire che il mondo e la nostra situazione in questo mondo stanno cambiando radicalmente davanti ai nostri occhi. Memorial deve reagire in qualche modo a queste trasformazioni? Deve trasformarsi in modo radicale? Non mi riferisco tanto al contesto, per esempio alla continua diminuzione della possibilità di azioni legali nel paese; è evidente che dovremo adattarci e modificare il nostro modo di lavorare; penso ai nostri obiettivi, ai nostri compiti e alle questioni che ci preoccupano.

La mia opinione si può riassumere in tre punti:

- Dobbiamo salvaguardare tutto il lavoro realizzato negli anni passati, garantire l’integralità dei nostri fondi d’archivio, che sono unici.

-  In tutti i casi in cui sarà possibile, dobbiamo proseguire i nostri progetti e programmi e sviluppare tutti i temi che ci hanno occupato finora.

- E infine, Memorial dovrà trovare il suo posto in un mondo radicalmente diverso. È un dato di fatto. E, per fare questo, noi stessi dobbiamo essere pronti a grandi cambiamenti: dovremo cercare e trovare nuovi temi, familiarizzare con nuovi campi e mezzi d’azione, inventare nuove forme di organizzazione, nuove forme di impegno civile. Ma è altrettanto importante rimanere noi stessi. Rimanere Memorial. Preservare la nostra identità a tutti i costi.

Sono i tre obiettivi su cui stiamo lavorando in questo momento.

Permettetemi di concludere qui.

Grazie per la vostra attenzione.

(traduzione di Angela Peduto)

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