
Una battaglia persa
Nel 2015 Svetlana Aljaksandraŭna Aleksievič fu insignita del premio Nobel per la Letteratura: la motivazione fu “la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo".
Di madre ucraina, di padre bielorusso, ha vissuto a Minsk e ha scritto in lingua russa. Di sé stessa ha detto: “Ho tre case: la mia terra bielorussa, che è la patria di mio padre e dove ho vissuto tutta la vita; l’Ucraina, che è la patria di mia madre e dove sono nata; la grande cultura russa, senza la quale non riesco a immaginarmi”.
Ha raccolto e dato voce nei suoi libri alla gente comune, quelli che non trovano posto nella Storia ma le cui esistenze dalla Storia sono travolte, sopraffatte o annientate: migliaia di testimonianze raccolte con coraggio, entrando nel dolore delle vite, nell’orrore della guerra e della catastrofe nucleare. “Ho pensato spesso che non avrei avuto il coraggio di arrivare fino in fondo. Ricordo di aver parlato un giorno con una donna che aveva passato quindici anni in un campo sotto Stalin e che, malgrado tutto, continuava ad ammirarlo. Desiderai piangere. Ricordo di aver visto giovani che lavoravano alla centrale di Chernobyl dopo la catastrofe senza particolari protezioni. Ricordo gli ospedali afgani dove i miei occhi guardavano le atrocità commesse dai nostri soldati. Più di una volta ho perso conoscenza. Non sono un’eroina. Queste voci mi hanno perseguitata, ossessionata”.
La sua opera è tradotta in italiano. Bompiani ha raccolto in due volumi i suoi romanzi principali.
Adelphi pubblica oggi il discorso pronunciato a Stoccolma nel 2015: parole tragiche che non passano senza lasciare traccia nei nostri cuori e nelle nostre coscienze.