Nel tempo delle utopie radiose: creazione e follia nella Russia degli anni Venti

Giordana Charuty*
Sabato 13 maggio 2023
Libreria Einaudi, Bologna
Vasilij Kandinskij, Nel blu, 1977

Abstract: L’esplorazione delle relazioni tra arte e follia ha in Occidente una lunga storia, che si dipana attraverso tragitti diversi e assume diversi significati.  

In alcuni paesi europei già dalla seconda metà del XIX secolo, in un processo di “umanizzazione” degli ospedali, si  incoraggiano i pazienti a scrivere, dipingere, disegnare, e se ne raccolgono le produzioni. È però agli inizi del XX secolo che in Francia, in Svizzera, in Germania, si afferma un movimento di sottrazione della follia e dei suoi prodotti  creativi alla custodia asilare. Le creazioni dei malati non sono più concepite solo come specchio della patologia ma  anche come via d’accesso all’enigma della creazione.  

Se volgiamo lo sguardo alla Russia degli anni Venti scopriamo che vi si afferma tutt’altra traiettoria. Nasce, con un  programma tracciato da Kandinskij, l’Accademia di Stato delle scienze dell’arte. Raccoglie filosofi, filologhi, biologi, fisici, psicologi, storici dell’arte, artisti, impegnati in un formidabile lavoro collettivo che, attraverso molteplici  forme di sperimentazione teorica e pratica, cerca gli elementi che possano servire da fondamento a una “scienza  dell’arte”.  

In questo contesto eccezionale, unico in Europa, si colloca il lavoro dello psichiatra Pavel Karpov, il cui nome riemerge dall’oscurità degli archivi nel corso di una recente ricerca condotta da Giordana Charuty e Elena Prosvetina.  All’interno dell’Accademia Karpov dirige un gruppo di lavoro composto da psicologi, storici dell’arte, letterati, artisti, destinato ad analizzare la relazione tra creazione e follia per definire non un’arte dei folli ma una psicologia generale del conflitto creatore, fondata sulla divisione della soggettività: un lavoro impressionante che, riportato alla  luce e reso disponibile alla circolazione culturale, si rivela fonte inesauribile di riflessioni nell’arco tematico che si  estende dall’apertura nella clinica di nuovi strumenti di contatto con la soggettività dell’altro fino al tentativo di  comprendere il nascere e il farsi del processo creatore.  

A Giordana Charuty, antropologa di fama internazionale, va tutta la nostra gratitudine per rendere disponibile questa affascinante ricerca, pubblicata nel libro scritto con Elena Prosvetina, Au temps des utopies radieuses - Création et folie en Russie soviétique (1921-1929)- Suivi de Pavel Karpov, L'activité créatrice des aliénés (1926), ed. Les Presses du réel, Paris, 2021, e presentata per la prima volta nel 2022 a Parigi.

Di seguito il testo della conferenza tenuta a Bologna.

Nel tempo delle utopie radiose: creazione e follia nella Russia degli anni Venti

L'esplorazione del rapporto tra creazione e follia appartiene a una lunga tradizione occidentale, ma non è sempre sostenuta dalle stesse preoccupazioni né ha sempre lo stesso significato. Alla fine dell'Ottocento, i suoi interrogativi hanno contribuito, in tutta Europa, al movimento di fondazione delle scienze umane, nel senso che ogni scienza ha inventato la "propria" arte: l'arte rupestre per la preistoria, l'arte primitiva per l'etnologia, il disegno infantile per la psicologia, "l'arte dei pazzi" per la psichiatria, l'arte popolare per il folklore. È come se, per diventare una disciplina, ciascuna di queste scienze abbia dovuto interrogare le sorgenti dell'attività creativa, affermando il punto di vista proprio. E, per quanto riguarda la psichiatria, è come se ogni generazione di clinici abbia dovuto ricominciare questa esplorazione per passare da oggetti apparentemente periferici a questioni centrali per ciascuna scienza e per l'arte stessa.


In Francia, a partire dagli anni Ottanta, oltre ai lavori sulla genealogia dell'art brut, che includono sempre un capitolo sull'"arte dei pazzi", riedizioni e traduzioni di testi fondativi si occupano delle modalità di questo riconoscimento estetico e rilanciano nuove ricerche. Ricordiamo:

-  la traduzione francese per Gallimard, nel 1984, del libro di Hans Prinzhorn Bildnerei der Geisteskranken, Expressions de la folie. Dessins, peintures, sculptures d'asile (1922), con una prefazione di Jean Starobinski;

-  negli Stati Uniti, lo studio di John M. MacGregor, The Discovery of the Art of the Isane, La découverte de l'art des fous (1989), che, condotto su scala internazionale, sottolinea l'importanza delle collezioni di Lombroso, nel Museo di Antropologia criminale di Torino, del Royal Hospital of Bethlem di Londra, dell'Accademia di Medicina di Chicago. 

È una "scoperta" perché si tratta di descrivere come l'espressione "arte dei pazzi " muta di significato quando non viene più applicata a tutti i documenti archiviati come documenti scientifici, ma solo a oggetti dove si percepisce una qualità estetica fino allora invisibile, che fa dire - "questa è arte!"  

- più di recente, la riedizione di Marc Décimo per Les Presses du réel (Des Fous et des Hommes avant l'Art Brut, 2016) del testo fondatore di Marcel Réja, L'Art chez les fous (1907), che inscrive l'"arte dei pazzi" tra le componenti di una primitività estetica: arte preistorica, arte infantile, arte di società lontane nello spazio e nel tempo. Questa edizione documenta anche le numerose pubblicazioni della generazione di medici che si muove intorno ad Auguste Marie (1865-1934), nell’asilo di Villejuif, così come l’importanza sempre più grande che assume l’attribuzione di un valore estetico. 

A MAD MUSEUM: THE INSANE AS ARTISTS

Se ci limitiamo all'Europa occidentale, possiamo mettere in evidenza tre momenti:

a) mentre il collezionismo esiste dall'inizio del XIX secolo, negli ultimi trent’anni del secolo si afferma una preoccupazione museografica che, da un lato, si pone a difesa dell’umanizzazione degli ospedali - i pazienti sono incoraggiati a leggere, scrivere, disegnare - e, dall’altro, permette di chiarire la psicologia dell'artista.

Cesare Lombroso

Lombroso, in relazione con tutti gli alienisti europei, presenta la sua collezione fin dal 1876, in seno ad un museo di antropologia criminale dove “arte dei pazzi” e “arte dei prigionieri” stanno fianco a fianco, a partire da una medesima situazione di reclusione di una frazione di popolazione, in un momento positivista - e non più romantico - di indagine sulle affinità tra due opposti registri di anormalità: il genio e la follia. Tuttavia, usa una parola della lingua comune, "i pazzi", i "folli", e si pone problemi di descrizione come farebbe un critico d'arte: come descrivere uno stile che non ci è noto?

b) 1905-1930: in Francia, Germania, Svizzera, su iniziativa di alcuni medici, critici d'arte e artisti d'avanguardia, nasce un movimento teso a far uscire questi prodotti dallo spazio manicomiale.

I nomi sono conosciuti: per la Francia, Auguste Marie (1865-1934),

Auguste Marie

Marcel Réja (1873-1957);

Marcel Réja (Paul Gaston Meunier), di Edvard Munch

in Svizzera Walter Morgenthaler (monografia su Adolph Wölfli, 1919);

Walter Morgenthaler

a Heidelberg Hans Prinzhorn (1922), il cui libro circola rapidamente negli ambienti artistici d’avanguardia.

Hans Prinzhorn


Le pubblicazioni dei medici non sono più riservate alle riviste professionali, o anche, come nel caso di Marcel Réja, uno pseudonimo differenzia il critico d’arte dal terapeuta.    
Alla fine degli anni Venti, alcune di queste creazioni escono dalle collezioni psichiatriche e dai congressi medici per essere esposte in gallerie d'arte. A Parigi, la Galérie Vavin-Raspail accoglie nel 1927 una mostra, acclamata dal critico d'arte Waldemar George, e nel 1929 alla Galérie Max Bine espongono "artisti malati". Gli artisti schizofrenici di Prinzhorn sono "adottati" dai surrealisti.

c) infine, a partire dagli anni Cinquanta, si formano due categorie instabili: l’"art brut" (Jean Dubuffet e André Breton) e l’"espressione psicopatologica".

Ora, quando volgiamo lo sguardo alla Russia, vediamo che si disegna un’altra traiettoria, a partire da una migrazione inversa dei saperi e delle opere.

Un percorso inverso: dall'ospedale all’Accademia nazionale delle scienze dell’arte.

La prima fase, caratterizzata dalla costituzione di archivi clinici, non riserva sorprese, se non fosse per gli stretti legami intrattenuti con la psichiatria occidentale. Il ricorso alle attività artistiche per "umanizzare" la vita asilare accompagna, in Russia come altrove, tutti i momenti di riforma dei luoghi di reclusione. Lo sviluppo dell'interesse per oggetti, disegni, dipinti e testi prodotti dai pazienti segue le tappe di riorganizzazione della psichiatria a partire dagli anni Sessanta dell'Ottocento e si accompagna a intensi scambi con l’Europa, in Francia con La Salpêtrière, Villejuif et Sainte-Anne e in Italia con Lombroso, che è un riferimento condiviso. I neurologi Rybakov e Rossolino collezionano scritti e disegni dei pazienti dagli anni 1900. Così pure lo psichiatra Nicolaï Bajenoff (1857-1923), che ha svolto un ruolo importante nella professionalizzazione della psichiatria e nel suo riconoscimento internazionale a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Molto presente negli ambienti letterari moscoviti, è partigiano delle terapie “emozionali” e valorizza le creazioni dei suoi pazienti in nome di valori morali ed estetici.  Dopo un internato a Sainte-Anne a metà degli anni 1880, mantiene rapporti sia professionali che amicali con gli ambienti psichiatrici parigini, in particolare con Auguste Marie, la cui moglie è russa. Su sua iniziativa, una mostra accompagna il Congresso Internazionale di Psichiatria a Mosca nel 1914; come Prinzhorn, figura tra i donatori d’opere e di oggetti per l'esposizione parigina del 1929 alla Galérie di Max Bine.

A partire dagli anni Venti, tuttavia, il doppio interrogativo – di ordine clinico per finalità diagnostiche, di ordine estetico sulle sorgenti della funzione espressiva e figurativa - si sposta a favore di una nuova istituzione, unica in Europa, dove diverse discipline sono raccolte e chiamate a ripensare una “scienza dell'arte”: questo cambia tutto. È l'oggetto della nostra ricerca: attorno a un libro e a un autore, lo psichiatra Pavel Karpov, il cui nome è emerso nel corso dell'etnografia che Elena Prosvetina conduceva a Mosca sulla scoperta post-sovietica dell'opera di Jean Dubuffet e sugli effetti di questa scoperta negli ambienti medici e artistici. Risultava che, in quegli stessi anni 1920, un cammino inverso si sperimentava nella giovane Russia sovietica: far entrare i saperi clinici tra le discipline convocate per ripensare una “scienza dell’arte”.

Pavel Karpov, di Piotr Neradovsky

Il libro dello psichiatra Pavel Karpov è pubblicato a Mosca nella "Biblioteca di Psicologia e Psicoanalisi", illustrato con una cinquantina di riproduzioni di disegni e dipinti, alcuni a colori. John MacGregor ne fa menzione ma non l'ha letto, per via dell’ostacolo linguistico. Occorre attendere l'inizio degli anni 2000, con la ‘fabbricazione’ transnazionale del primo artista russo di "art brut" - Alexandre Lobanov - perché, in occasione di una mostra parigina, si parli dell’interesse di questo libro, senza peraltro conoscere i due contesti nei quali dev’essere inserito.

- Il primo contesto è, ovviamente, quello dello sguardo clinico con cui la psichiatria si rivolge alle capacità espressive dei pazienti. Pavel Karpov (1873-1932?) esce da una famiglia di tessitori di Pietroburgo. Si forma con Bajenoff, poi prosegue la sua formazione tra Berlino, Heidelberg e Monaco. Tornato a Mosca, dirige l'Istituto di neuropsicologia ed esercita anche nell' Istituto V. Serbsky di psichiatria legale, dove osserva ciò che i prigionieri producono. Sarà il tema di un altro libro, L'Arte dei prigionieri, pubblicato nel 1928.

Come Bajenoff, Karpov condivide le convinzioni di Auguste Marie: "se si volesse analizzare in dettaglio l'opera artistica della follia [...] vi si troverebbe, scritta a caratteri più grandi che nel creatore equilibrato, la genesi della concezione artistica".

Pavel Karpov ritratto da Mikhaïl Vroubel

Attraverso Bajenoff, Karpov è quindi in contatto con quella seconda generazione di medici che, in Francia, interroga le creazioni dei malati, come specchio delle patologie e al tempo stesso come via di accesso a forme primitive di attività creatrice.

-  A differenza di questo primo contesto internazionale, in fondo molto omogeneo, il secondo contesto è specifico della Russia sovietica: si tratta di una nuova politica scientifica caratterizzata dalla creazione, nel 1921, dell'Accademia di Stato delle Scienze Artistiche (GAKhN), che porta al mutamento progressivo di questi interrogativi. All'interno della nuova Accademia, con il marxista Petr Kogan come presidente e Vasilij Kandinskij come vicepresidente, gli studi, fino allora limitati ai servizi ospedalieri, si dispiegano in un altro spazio concettuale, dove i programmi sistematici di indagine fanno parte di un’esplorazione generale sulla creazione, al crocevia di tutti i saperi che definiscono il campo delle scienze umane. Non si tratta, come per Prinzhorn, di far esistere artisti sconosciuti, ma di contribuire all'insieme delle scienze della cultura, con una teoria psicologica del processo creatore che, facendo una deviazione nella follia, vi si lascia vedere più chiaramente.

È solo a partire dalla metà degli anni Novanta che l’Accademia, cancellata dalla storia culturale dopo la sua chiusura nel 1930, man mano che si aprono gli archivi diventa oggetto a livello internazionale di un vasto movimento di ricostruzione storiografica, di pubblicazioni e di analisi: ricordo, in particolare,  i lavori di Nicoletta Misler e John Bowlt che hanno reso accessibile in inglese una notevole selezione di testi riguardanti il dipartimento che qui ci interessa  e che hanno per primi sottolineato l'importanza della commissione diretta da Karpov. Rinvio ai contributi più recenti, disponibili in francese, di Nadia Podzemskaia.

Per dieci anni, l'Accademia raccoglie filosofi, filologi, psicologi, biologi, fisici, storici dell'arte e artisti che affermano la loro autonomia attraverso ogni tipo di sperimentazione teorica e pratica. Essi lavorano per fare il punto sulla situazione dell'estetica e della storia dell'arte tedesche, per definire metodi di indagine e di sperimentazione in laboratorio, esplorare il rapporto tra arte e scienze positive, stabilire un vocabolario redigendo le note per un futuro dizionario terminologico, sperimentare la creatività sotto ipnosi e i legami tra sogno, ipnosi e inconscio, formulare concetti che possano servire da fondamento a una scienza dell'arte "sintetica"; descrivere i processi psicologici e  sociali della creazione e della ricezione delle opere, in letteratura, pittura, teatro, musica, danza. Vengono organizzate grandi mostre in Russia e all'estero e vengono pubblicati un bollettino e i lavori migliori.

Posta, all'inizio, sotto la protezione di Loutnatcharski, l'Accademia assicura per una decina d’anni la continuità con le circolazioni intellettuali e artistiche degli inizi del XX secolo. Ma, denunciata come "baluardo dell'idealismo", è sciolta nel 1928 e chiusa definitivamente nel 1930; molti studiosi saranno consegnati a un tragico destino.

Con Karpov e la commissione che dirige, le modeste opere della follia ordinaria fanno il loro ingresso in vaste sperimentazioni, pensate insieme da artisti e studiosi, per rinnovare la nostra comprensione delle creazioni culturali. Gli storici e i teorici dell'arte che si ritrovano alla GAKhN conoscono le grandi opere dell'estetica tedesca (Fiedler, Lipps, Schmarsow, Hildebrand, Wölfflin, Riegl).

Assistito dallo storico dell’arte  Alexandre Gabrichevsky, Kandinskij definisce gli obiettivi del dipartimento di psicofisica, composto da commissioni per lo studio del ritmo, della percezione estetica, dello spazio, della psicologia della creazione, della creazione sotto ipnosi e “delle esperienze psichiche nelle loro forme patologiche”: quali sono gli effetti di senso prodotti dai mezzi usati, quali i principi comuni alle diverse arti e quali leggi della forma distinguono ogni disciplina artistica.  Dopo la sua partenza per Berlino, nel dicembre 1921, lo storico dell’arte Bakoushinski apre una commissione sulle arti primitive che studia insieme, in modo comparativo, l'arte dei popoli selvaggi, l'arte dei bambini, le arti primitive occidentali e "la creazione e la percezione in soggetti patologici”. Lo studio delle produzioni dei malati mentali sembra, dunque, integrata con quello delle varie primitività già affiancate tra loro dagli artisti; ma sarà una commissione autonoma a occuparsi dell’analisi del rapporto tra creazione e follia.

Vassilij Kandinskij
Gueorgui  Čelpanov
Gustav Špet

Karpov entra in Accademia grazie all’appoggio dello psicologo Čelpanov e di Ermakov, uno dei principali rappresentanti del movimento psicoanalitico. Čelpanov (1862-1936), che si oppone alla riduzione della psicologia alla fisiologia, ha perso il suo posto all'università - un "idealismo incompatibile con il marxismo", ritengono i sostenitori di un orientamento naturalista, la riflessologia. All’interno di GAKhN egli ritrova il filosofo Gustav Špet – che ha introdotto in Russia Husserl. Un legame personale lo unisce a Ivan Ermakov (1875-1942), editore di Freud e fondatore della Società Psicoanalitica Russa, dove Ermakov prosegue lo studio della creatività nell’arte e nella letteratura: entrambi hanno avuto in cura il pittore simbolista Mikhail Vrubel e assistito alla sua tragica fine.

Abbiamo, da un lato, il programma di una scienza generale delle arti, che aspira ad organizzare le discipline attorno a un interrogativo comune sull'attività creatrice, le sue origini, le sue modalità, le sue funzioni, valorizzando approcci fenomenologici ed ermeneutici che ripensano l'eredità tedesca in materia di estetica; dall’altro lato, il contesto ideologico delle utopie rivoluzionarie, il cui obiettivo è la creazione dell'"uomo nuovo", declina questa domanda verso applicazioni pratiche.

Un collettivo in movimento

Va subito precisato che il libro di Karpov è solo un momento nel lavoro collettivo che lo psichiatra ha diretto per una decina d’anni.  La sua commissione raccoglie psicologi, pedagogisti, storici dell’arte e della letteratura, artisti. Elena Prosvetina ha ritrovato, negli archivi di GAKhN, i verbali delle riunioni settimanali, poi bimestrali, di questa commissione. Insieme abbiamo lavorato su una traduzione letterale dei verbali. Il riassunto delle presentazioni è purtroppo spesso succinto, in compenso i dibattiti sono in gran parte trascritti. Si tratta di una fonte eccezionale che, a differenza del lavoro delle altre commissioni, non era stata finora sfruttata.

Vassili Vatagin

Tra i collaboratori assidui, alcuni hanno un'esperienza clinica, come psicologi (con Karpov e Tchelpanov), che intrattengono legami con gli ambienti letterari e artistici, o insegnanti specializzati; altri provengono dalla storia della letteratura, del teatro, dell'arte. È il caso di Vera E. Beklémishéva, che partecipa anche a diverse commissioni sul teatro all'interno dell'Accademia. O Anna Satz, che viene da una famiglia di musicisti.

Vassili Vatagin, Ours, tigre, sanglier, loup, statuettes en bois des Guilyak, 1927, matita e acquerello su carta, Museo dell'Accademia d'arte e industria Stroganov

Ci sono anche artisti come il biologo Vassili Vatagin (1884-1969) che diventerà pittore e scultore di animali per il Museo Darwin e lo Zoo di Mosca.

Vassili Vatagin, Femme du peuple Nivkhes, 1930,  Galleria di Stato Trétiakov.

Gli storici dell'arte hanno recentemente riscoperto i suoi interessi per la teosofia e i suoi contributi alla conoscenza delle arti popolari delle popolazioni tungusi. Quando partecipò, per breve tempo, ai lavori della commissione di Karpov, aveva alle spalle un lungo viaggio in India dove aveva frequentato, nel 1913 e 1914, gli ashram per europei di Madras e i templi dai molti colori di Madurai. Tornato in Russia, cercò di ricreare nella sua dacia sulle rive del Mar Nero l'intenso universo di forme, suoni, odori e colori della vita dei templi indù.

Vassili Vatagin, Les Dieux d’Inde, 1914, tempera su tela, collezione della famiglia Vatagin

Egli stesso descriverà, nelle sue memorie, le esperienze allucinatorie che, durante questo viaggio, portarono a diversi mesi di ricovero. Poco dopo, nel 1928, parteciperà alla spedizione etnografica guidata dall'archeologo Boris Kuftin nell'Estremo Oriente russo. Lì osserverà con stupore l'abilità delle donne nel creare forme e fabbricare gli oggetti necessari ai riti sciamanici.

Il collettivo guidato da Karpov appare dunque largamente rappresentativo del clima di mobilitazione dei giovani intellettuali per "rifare tutto", secondo la parola d'ordine del poeta Alexandre Blok, dove le donne sono particolarmente attive e dove, quale che sia la formazione iniziale, ci si orienta verso l’uno o l’altro di quei saperi che più tardi chiameremo scienze dell'educazione: un'attrazione legata alla pretesa di comporre una sorta di scienza universale dello sviluppo umano.

I pazienti di cui vengono esaminate le creazioni sono ricoverati in cliniche psichiatriche a Mosca, in particolare nel servizio diretto da Karpov all’ospedale Préobrajensky. La psicologa del servizio, V. Ditinenko, presenta i casi con le modalità di una clinica dell’attività creatrice. Ma, quasi subito, il campo di indagine della commissione si amplia. Nell'ottobre 1925 viene stabilito un ambizioso programma su quattro assi:

1. Un primo tema (creazione psicopatologica e letteratura) sembra ricongiungersi alla tradizione medica dove l’esame delle opere letterarie serve a ripensare la conversione di una patologia psichica in un’opera di cultura. Non a caso: Dostoevskij, ma anche scrittori come Garshin (1855-1888) che, a metà del XIX secolo, ambientano le loro storie nella vita del manicomio, o scrittori contemporanei che, come Leonid Andreyev (1871-1919), sembrano incarnare il "mal du siècle”.

2. Un secondo tema è dedicato alla pittura, limitando l'indagine agli artisti che hanno vissuto una condizione di sofferenza psichica.

3. Un terzo tema riguarda l'attività espressiva dei pazienti ordinari negli ospedali psichiatrici.

4. Infine, questionari di indagine che rientrano in un approccio di psicologia sociale e prefigurano un'etnografia del fare creatore.

Ma torniamo al libro di Karpov.

Un libro che risente di certe influenze

Il tono, che sorprende il lettore di oggi, è quello della divulgazione scientifica: difendere il valore della psichiatria all'interno delle strutture ospedaliere specializzate, smantellare i pregiudizi, esporre con un linguaggio semplice i tratti distintivi delle grandi categorie psicopatologiche per eliminare rappresentazioni religiose sempre attive: si tratta di obiettivi più vicini ad una politica illuminata di salute mentale che ad una indagine sulle forme di creatività liberate dalla malattia. Ma è anche un modo per far riconoscere la ricchezza di stati mentali diversi dai consueti stati di coscienza. Karpov aveva iniziato a far disegnare i suoi pazienti negli anni 1910: aveva l’abitudine, spiega, di dare ad ogni nuovo paziente un foglio di carta, matite e dodici colori, chiedendogli di disegnare i sentimenti del momento, o almeno di rappresentare il proprio stato emotivo mediante macchie di colori e forme varie. Il materiale raccolto era classificato secondo le varie categorie di patologia mentale. Questa raccolta, composta da diverse migliaia di disegni e manoscritti, è andata perduta, ma il libro ne commenta una piccola parte e permette di comprendere gli orientamenti iniziali del gruppo di lavoro dell'Accademia. Si tratta, all'inizio, di proseguire in Russia il lavoro compiuto dalla seconda generazione di giovani medic a partire dalla collezione di Auguste Marie: stabilire tipologie dove le forme di espressione grafica, figurativa o narrativa sono lo specchio delle grandi entità nosografiche, nel momento stesso in cui i lavori sull'ipnosi mettono in crisi questo quadro nosologico. Il problema di tutti i clinici di allora è lo scivolamento insensibile verso la perdita del rapporto con sé stessi e il mondo (psicosi maniaco-depressiva), che viene interrogata attraverso l’osservazione delle forme espressive dei pazienti.

Irruzione della pittura sotto l'effetto di un delirio di persecuzione
Disegno-ricamo

La bibliografia è esclusivamente straniera: italiana, tedesca e, soprattutto, francese, in particolare prossimità con la generazione degli anni 1900-1910 (Rogues de Fursac, Marcel Réja). Dopo un primo capitolo generale, su cui tornerò, l’autore, con nostro disappunto, conserva il principio che fa corrispondere categorie cliniche e forme espressive, e si limita a considerare i prodotti, cioè gli scritti, i disegni e le pitture di pazienti ordinari, di estrazione sociale differente, alcuni dei quali hanno ricevuto una formazione artistica. Annulla la contiguità introdotta da Réja tra diverse marginalità creatrici, ma dà come lui ampio spazio alla scrittura e agli scritti - lettere, diari personali, romanzi, poesie, canzoni, dissertazioni filosofiche, programmi di riforma sociale - talvolta percepiti come documenti patologici, talvolta come creazioni culturali. Un’attenzione particolare è assegnata alla trasformazione di questa attività espressiva secondo le fasi della malattia e della guarigione. E tuttavia vediamo il medico allontanarsi gradualmente dall'opera come prodotto, fisso nella sua materialità, per concentrarsi sulla comparsa e la scomparsa di abilità cognitive e abilità tecniche, di vissuti emozionali ed esperienze affettive, che scandiscono una doppia traversata: quella della crisi e della sua risoluzione, da un lato, della sua figurazione secondo il modo di una comunicazione infraverbale, dall’altro.

Una modalità di comunicazione infraverbale

Percepire le produzioni dei pazienti come una modalità di comunicazione infraverbale dà accesso agli stati emozionali che i pazienti non sono subito in grado di esprimere a parole e che, rappresentati sotto forma di grafismi e immagini, diventano il supporto di una verbalizzazione. Da quel momento, il va-e-vieni tra disegno e commento consente di far esistere una persona da “ascoltare”, come nel caso di questa “storia di malattia scritta a colori”, esposta nel capitolo VI dedicato alle psicosi maniaco-depressive.

Si tratta di un'artista professionista, che mette in immagini e parole la sua sofferenza man mano che recupera la presenza a sé stessa e al mondo, una paziente che pensa essa stessa il suo lavoro figurativo in termini di proiezione di stati psichici.

Figura 1: "In salutare sostegno alla mia mente instabile. 17 gennaio 1921".

Il commento differenzia il mondo interiore (in basso a destra) e il mondo esterno (in alto a destra), le emozioni cupe e quelle piacevoli.

Fig.1

Figura 2: "Nella mia testa sboccia rigoglioso il fiore della saggezza... È il riflesso di un mio acuto pensiero, il 10 gennaio dell'anno 1921, così come mi apparve nella memoria il 10 gennaio dello stesso anno”. Le emozioni cominciano ad addolcirsi.

Fig.2

Figura 3: "L'essenziale delle impressioni dal mondo esterno, il 24 gennaio 1921. Mentre nella foresta un'orchestra esegue un pezzo musicale, suonano le trombe, si può persino udire il rullo dei tamburi, io so che c'è vento e percepisco determinati motivi”.

Sentimento di gioia, di speranza, aspirazione alla realizzazione della fantasia creatrice.

Fig.3

Figura 4: “Quando penso alla mia guarigione, immagino: quel giorno, l'esplosione della mia profonda gioia si alzerà verso l'alto e le sue scintille voleranno fino al sole. 5 febbraio 1921"

Fig.4

Figura 5: "Voglio volare verso la conoscenza, la luce e la gioia, - mentre la mia malattia mi taglia crudelmente le ali... 12 febbraio".

Una certa disperazione, ma le ali non sono tagliate alla base.

Fig.5

Figura 6: "In silenzio - La contemplazione della verità. 15 febbraio 1921". L'albero della conoscenza.

Fig.6

Figura 7: "Stai per aprirti, chiavistello... 18 febbraio 1921”. Spero che l'uccello ottenga la libertà.

Fig.7

Figura 8: "Non osare... 22 febbraio". Malattia infida.

Fig.8

Figura 9: "La nostra vita va avanti a tutta velocità e ne ignoriamo i percorsi... 27 febbraio 1921".

Fig.9

Il commento sottolinea il carattere intrapsichico dell'espressione figurativa, le tensioni tra i vari stati emotivi (pereživanie) e le fluttuazioni della sofferenza così come si leggono nel dinamismo del disegno e nell'antagonismo delle forze che si affrontano. Per l'ultima immagine: ritmo incredibile, impossibile da descrivere a parole, "devi sentirlo guardando l'opera stessa".

Possiamo così intravvedere un’altra strada possibile per la clinica: mentre gli psicoanalisti, per accedere alla realtà di una soggettività, fanno dell'immagine onirica solo il supporto di una narrazione di finzione, altri terapeuti, per accedere a questo stesso tessuto soggettivo, si applicano a forme parimenti caotiche e ugualmente generatrici di una narrazione di finzione, ma che hanno la consistenza materiale di un immaginario esterno.

Una teoria del processo creativo

Karpov propone una modellizzazione del processo creativo illustrata da diversi schemi.

A differenza di Prinzhorn, che ricorre esclusivamente a nozioni mutuate dal pensiero estetico, lo psichiatra si sofferma sulle grandi funzioni psichiche, a partire dalla distinzione e dalla messa in relazione di due regimi mentali: quello della coscienza vigile, fondato sulla percezione e la memoria; quello del subconscio, il cui funzionamento si può osservare negli stati patologici e nei prodotti del sonno. Perché ci sia creazione, occorre che si formino "percorsi associativi sufficientemente forti tra la coscienza vigile e il subconscio".

L'idea che si possa considerare creatrice una parte di sé di cui il soggetto sveglio non ha coscienza attraversa tutto il XIX secolo. Alcuni studiosi, che sono a favore di una semiotica generale, rifiutano la necessità di una nuova psicologia. Altri, come Lev Vygotski (1896-1934), lavorano a una psicologia dell'arte, con la stessa ambizione di fondare una scienza marxista. La tesi centrale di Psicologia dell'arte, rimasta inedita in Russia fino al 1965, rivela l’attenzione accordata alla nozione freudiana di inconscio per pensare il processo di creazione nella prospettiva di una psicologia sociale non soggettivista. Più che il vissuto dell'artista o dello spettatore, afferma l'autore, occorre concentrarsi sull'opera stessa. Essa non riflette nessun tratto psichico individuale specifico dell'artista, ma esercita un'azione sulla vita psichica inconscia: è una "tecnica sociale del sentimento". Questa tesi è un’applicazione particolare dell’importanza, secondo Vygostki, del concetto di inconscio, assimilato a un’esperienza e a un pensiero slegato dalle parole. Si basa su una lettura attenta delle analisi freudiane consacrate alla creazione che non può, secondo l’autore, essere ridotta alla sublimazione di pulsioni sessuali.

D'altra parte, ci sono gli artisti, teorici della loro arte, che, come Stanislavskij, ricorrono alla distinzione tra stati coscienti e inconsci per concettualizzare la tecnica dell'"arte del sentire". Per l'attore di teatro, interpretare la vita e i sentimenti del personaggio mettendoli in rapporto con la propria persona richiede il lavoro inconscio del sonno e del sogno. Solo allora l'ispirazione, "che sonnecchia al di là della coscienza", potrà "prendere l'iniziativa della creazione".

Karpov, che non cita mai Freud, prende anche in prestito dagli artisti d'avanguardia metafore e invenzioni concettuali per chiarire la propria concezione dei rapporti tra conscio e inconscio: ad esempio, la strana espressione "significato addizionale” - usata più volte per qualificare il contributo della coscienza - riprende l'espressione "elemento addizionale" introdotta da Malevitch durante una seduta plenaria del dipartimento, per rendere conto del passaggio da una cultura pittorica all'altra, usando metafore biologiche.

Verso un'etnografia dell'artista al lavoro

Occorre osservare il lavoro del collettivo che Karpov anima all'interno dell'Accademia, tra il 1923 e il 1929, per misurare tutta la novità del percorso che, al riparo di questa istituzione, si cerca di realizzare in questi anni, volendo fare dell'esperienza della follia il “luogo” dove si mettono a nudo le componenti psichiche del fare creatore. In effetti, il programma di lavoro si libera rapidamente da preoccupazioni di ordine strettamente psicopatologico. Le presentazioni si concentrano su alcuni scrittori tutelari – come Dostoevskij e Gogol – e pittori simbolisti – come Vrubel e Čiurlonis, a cui sono dedicate diverse sessioni, per interrogare le proprietà emozionali delle loro opere.

Figure de démon, aquarelle offerte à Pavel Karpov
Mikhail Vrubel, Figure de démon, acquarello donato a Pavel Karpov
Le Démon assis, 1890, huile sur toile, Galerie d’Etat Trétiakov
MIkhail Vrubel, Le Démon assis, 1890, olio su tela, Galleria di Stato Trétiakov

Pan, 1899, huile sur toile, Galerie d’Etat Trétiakov
MIkhail Vrubel, Pan, 1899, olio su tela, Galleria di Stato Trétiakov

Nel corso degli anni vengono privilegiati creatori viventi che, ognuno a modo proprio, incarnano una modernità artistica in tensione con gli orientamenti ideologici del regime sovietico. Citerò tre casi: lo scrittore Leonid Andreïev, l'attore Mikhail Chekov, il musicista Illia Sats.

Leonid Andreïev (1871-1919)

Leonid Andreïev à son bureau, 1910
Leonid Andreïev nel suo studio, 1910

Esaminato a più riprese, il caso dello scrittore Leonid Andreïev (1871-1919) illustra bene le difficoltà che la commissione deve superare per liberarsi dai presupposti della patografia. Tanto più difficile sfuggire all'insidia di una lettura in chiave patologica, in quanto lo scrittore stesso affronta la questione delle incerte frontiere tra ragione e follia, attraverso vari generi che problematizzano quello che è stato definito "il male del secolo".

        Andreïev conobbe negli ultimi anni dell'Ottocento un successo eccezionale per rapidità e ampiezza, e rimase uno degli scrittori più letti in Russia durante il primo decennio del Novecento. I suoi racconti e le sue opere teatrali sono segnati dai grandi eventi di questo periodo - la guerra russo-giapponese, la Rivoluzione del 1905, la Prima Guerra mondiale.  I suoi personaggi e la sua personalità suscitano innumerevoli polemiche nell'atmosfera pre-rivoluzionaria del momento. Poi, violentemente ostile a Lenin e alla Rivoluzione d’Ottobre, egli si esilia in Finlandia, dove fa uscire manifesti contro gli eccessi del bolscevismo. Tre anni dopo la sua morte, un volume d’omaggio raccoglie i ritratti dell'autore firmati da numerosi scrittori e critici letterari, con un lungo testo di Gorki. Ma è soprattutto a livello stilistico, attraverso il rifiuto dell’estetica realista e la rottura con le convenzioni dei generi letterari praticati, che Andreïev si presenta come uno ‘scrittore della crisi’: scrive per sconvolgere il lettore, mentre l'angoscia è "al lavoro", perché "ciò che affascina nella rivoluzione è la catastrofe" (Serge Rollet).

È Vera Beklemisheva a curare una presentazione basata sui suoi ricordi personali, a Pietroburgo e in Finlandia, nella famosa casa di tronchi di cui descrive minuziosamente l’atmosfera eccitata. A quella seduta è presente uno storico dell'arte, che avverte: "Il tuo rapporto è pieno di dati riguardanti il ​​lavoro di Andreïev, ma metti tutto questo materiale nelle mani di uno psichiatra perché possa dichiararlo anormale”. Il dibattito riguarda insieme il valore creativo della sofferenza psichica, il significato da dare a una decisione di ricovero, la legittimità di una diagnosi psichiatrica, gli obiettivi della commissione. Lo scrittore, assicura Vera, è stato ricoverato sei mesi per alcolismo, molti dati attestano il suo sdoppiamento di personalità, ma lei distingue il creatore su alcuni aspetti: "Nella famiglia di Andreïev, tutti facevano sogni inspiegabili. Sua sorella raccontava i sogni come favole […] I sogni di Andreïev non avevano forma di favole, piuttosto egli trovava, sognando, la soluzione ai problemi della creazione. Spesso i pensieri che lo tormentavano di giorno diventavano immagini spaventose al calar della notte". Le nuove obiezioni da parte dello storico dell’arte testimoniano la libertà di scambio di questi dibattiti: "Il tuo rapporto è ricco di ricordi personali carichi di sentimenti calorosi, cosicché io vedo Andreïev come un essere umano e uno spirito universale. Protesto dentro di me contro ciò che ho appreso sui tratti psichici patologici, perché mi impedisce di concentrarmi sull'essenziale: mi piace Andreïev come scrittore, vedo davanti a me una persona in carne ed ossa, un uomo e uno scrittore descritto con precisione”.

In effetti la relatrice intende, appunto, pensare insieme l'autore - sempre attraversato dal "conflitto tra i due 'io' che lo abitano", con i suoi personaggi di cui lei per prima sottolinea l’autonomia rispetto alle persone reali che hanno potuto ispirarli - e l’opera, che appare interamente attraversata da un'opposizione analoga a quella che lacera lo scrittore. Questi dibattiti riecheggiano le discussioni che hanno a più riprese contrapposto lettori e critici circa i legami tra vita e opera dello scrittore. Ad esempio, nel testo teatrale Il pensiero (1902) il protagonista, un medico sotto osservazione in un ospedale psichiatrico dopo l’assassinio del suo migliore amico, si abbandona a un’autoanalisi vertiginosa, dove una riflessione labirintica ma apparentemente controllata scivola poco a poco verso il discorso meccanico di una specie di burattino mascherato. Questa trasposizione letteraria di una coscienza scissa, fuggita nel limbo di un aldilà di sé e della ragione, gli valse da parte degli psichiatri di San Pietroburgo la qualifica di artista psicologo, ma anche il sospetto che avesse fatto l'esperienza di un simile disturbo mentale per poter arrivare a renderne gli effetti con tale accuratezza. Andreïev rispose pubblicamente a questa accusa di follia che, avvalendosi dell’autorità di una rivista scientifica, cessava di essere una semplice diceria.

I dibattiti dell'anno accademico 1927-1928 non hanno come oggetto i racconti più famosi ma gli ultimi testi, rappresentati e pubblicati pochi anni prima e dopo la morte dell'autore nel 1919. Essi confermano l'analisi che Serge Rollet propone dell'efficacia del racconto di Andreïev: una "poetica dell'angoscia" che l'autore cercava di suscitare nel suo lettore; lo sdoppiamento, la solitudine e il pessimismo metafisico dello scrittore; la resistenza ad ogni interpretazione univoca e le relazioni con scrittori e poeti simbolisti. Scritto tra il 1913 e il 1916, Requiem è “sia un rito funerario scritto per una tradizione teatrale esaurita sia una veglia funebre per un’anima in attesa della dissoluzione finale”: come dire la drammatizzazione al tempo stesso di una crisi personale e del crollo storico di un mondo sociale e culturale. Il Diario di Satana esplora le conseguenze concrete che la constatazione della morte di Dio esercita sui comportamenti umani. Il Valzer dei cani metaforizza l’assurdità dell’esistenza. Karpov, da spettatore illuminato, si dichiara in disaccordo con coloro che denunciano i difetti di un testo che egli considera di importanza estrema. E mentre i partecipanti si chiedono a quale patologia riferire la sofferenza di Andreïev – ciclotimia o schizofrenia? – lo psichiatra si concentra sul testo di Requiem per leggervi, in chiave di immaginario proprio dell'autore, diffratto tra i vari personaggi, la meditazione tragica sul mondo devastato che ossessiona l’autore. Karpov fa della paura e dell’angoscia il tratto distintivo della personalità dell’artista e adotta una lettura fenomenologica che sarà da lì a poco quella della psichiatria esistenziale. Leggendo nello scrittore una figura del crollo esistenziale, non può però riconoscere, come i critici di oggi, che lo scrittore partecipa efficacemente alla creazione culturale dell'angoscia come sensibilità collettiva del Novecento.

Tuttavia, la preoccupazione per un approccio sociologico all'attività creatrice, più che alle opere stesse, è ben presente all'interno dell'Accademia.

Tra psicologia e sociologia

Nell'Accademia c'è un dipartimento di sociologia dove prevale il metodo marxista in materia di analisi delle opere e del processo creativo. D'altra parte, Gustav Špet, del dipartimento di filosofia, lavora per ridefinire l'etnopsicologia tedesca a partire da "esperienze collettive tipiche " - ​​lingua, miti, costumi, religione – basate su quella che viene chiamata "appercezione collettiva": una concettualizzazione che porta a considerare le esperienze personali come interamente partecipi della sfera del sociale. Il gruppo di lavoro di Karpov non ignora il "metodo sociologico", a cui i formalisti si oppongono, ma solleva altre perplessità intorno a una stessa domanda: come pensare il rapporto tra individuo e collettivo?

     Da qui la costruzione di strumenti per l'osservazione di un atto creativo indipendente da ogni forma di patologia mentale: questionari per documentare, nelle biografie individuali, i momenti, le condizioni e le modalità dell'attività di creazione, combinando dati empirici direttamente osservabili e giudizi soggettivi. Non si tratta tanto di psicologia quanto di una sorta di descrizione quasi etnografica del creatore al lavoro, colto da un duplice punto di vista, oggettivo e soggettivo.

Le domande che vengono poste:

1. In quale campo opera il creatore? Sono aree espressive insolite? Alcuni scienziati, ad esempio, scrivono poesie che non pubblicano mai o compongono musica. Occorre quindi individuare il vero campo di creazione: uno scienziato che sa solo suonare bene non può interessarci.

2. Come avviene il processo creativo? Da quanto tempo? A che ora del giorno, mattina, pomeriggio, sera? Quanto è suggestionabile il soggetto creativo? Quanto spesso avviene il processo creativo? Con quale periodicità si svolge? Con quale frequenza si ripete? Ci sono "motivi scatenanti, sorgenti esterne" della creazione che il soggetto stesso menziona? Ricorre a stimoli artificiali come cocaina, morfina, vino?

3. Come valuta il soggetto stesso la sua opera, come distingue i primi momenti del processo creativo, l'impulso a creare, le sue ragioni e motivazioni?

4. Sogni: come si producono? In che modo il soggetto percepisce il mondo circostante e lo riproduce? Durante il colloquio occorre evitare suggestioni e variare le formulazioni di una stessa domanda per verificare la veridicità delle risposte date.

5. La creazione è di carattere intellettuale o intuitivo?

Altri questionari mirano, piuttosto, a documentare le condizioni esistenziali e sociali nella genesi dell'atteggiamento estetico: i suoi rapporti con le tappe dello sviluppo intellettivo e affettivo dall'infanzia all'adolescenza, con le esperienze educative e le forme di socializzazione in famiglia e a scuola.

Si privilegiano artisti socialmente riconosciuti, del vicino passato o del presente, ai quali si aggiungono casi di "bambini prodigio". Senza essere assente, la dimensione psicopatologica non è più il punto di partenza dell'indagine, che si concentra invece sul saper fare tecnico e copre ormai tutte le arti: letteratura, musica, arti visive, arti dello spettacolo. Il gruppo animato da Karpov si appropria così di modalità di lavoro comuni a varie commissioni, in particolare quelle della sezione dedicata al teatro, dove la psicologia dell'attore è oggetto di una vasta inchiesta che fornisce più di 900 risposte, minuziosamente trascritte, sulle emozioni nella vita e sul palcoscenico.

I ricercatori raccolti intorno a Karpov hanno il merito, dopo un anno e mezzo di lavoro, di formulare le domande canoniche poste da qualsiasi indagine etnografica o sociologica: in che modo gli artisti coinvolti hanno accettato o rifiutato di rispondere alle domande dei ricercatori? Quali transazioni sono derivate dall'indagine? Quali legami personali avevano gli intervistatori con i loro interlocutori? La questione si pone, in particolare, a proposito delle interviste con artisti dello spettacolo.

Artisti dello spettacolo

Ilya Satz (1875-1912).

Ilya Satz
Ilya Satz

Compositore e direttore musicale del Teatro d’Arte. Collabora con Meyerhold al Teatro-Studio nel 1905, partecipa all'esperimento effimero del Teatro Antico di San Pietroburgo nel 1907 (restituire le forme teatrali del passato, in particolare i miracoli e le farse del Medioevo) e diviene il principale collaboratore di Stanislavskij nella creazione di quell’’umore’ che distingue il teatro come universo plastico, musicale, sonoro, luminoso, di colore unificato, il teatro come messa in scena. Muore prematuramente nel 1912.  Quindici anni dopo la sua morte, nel 1926 e nel 1928, la commissione gli dedica diverse sessioni.

Le presentazioni sono fatte da Anna Satz, sua moglie (a partire dal diario del musicista), da sua sorella, che contesta il rapporto di Anna, e dalla psicologa Vera Ditinenko che è stata testimone involontaria di una notte di creazione.  Anna Satz in un primo intervento presenta l'autoanalisi a cui il musicista si abbandonava intrecciando riflessioni filosofiche, riflessioni sulla creazione letteraria e musicale, dati biografici sul suo modo di vivere. In un secondo intervento descrive la doppia vita tra il giorno e notte, la lotta incessante contro crisi che rasentano la follia, il carattere rivoluzionario di una musica creata da autodidatta, dove l'emergere dell'opera sembra portare alla distruzione del creatore e la morte appare il culmine della tragedia della sua vita. Queste presentazioni sollevano le obiezioni della sorella di Ilya Satz: non ci si può basare sui soli scritti intimi per qualificare gli stati psichici e la socialità di una persona. Discute la pertinenza delle diagnosi fatte su vari membri della famiglia. Ma tocca a Vera Ditinenko fornire uno straordinario ritratto del musicista al lavoro:

"Vorrei condividere i miei ricordi personali di Ilya Aleksandrovič Satz, la cui personalità ho scoperto guardandolo lavorare. Circa quindici anni fa, a Mosca, mi accadde di soggiornare nel suo appartamento. Non lo conoscevo personalmente né avevo avuto occasione di incontrarlo al mio arrivo. Per la notte ebbi un letto nella stanza dei bambini, che si trovava accanto a quella di Ilya Aleksandrovič. Nel cuore della notte mi sveglia un rumore che proviene dall'altra parte del muro. Fischi, canti, scoppi di risa, calpestio e battere di piedi, colpi sulla tastiera a volte violenti a volte melodiosi si confondevano in una specie di caos che, semiaddormentata com’ero, mi fece paura. Credetti che ci fossero pazzi agitati o persone ubriache. Saltai giù dal letto. Nina, la figlia minore di Satz, che aveva circa sette anni, dormiva accanto a me. Aprì gli occhi, svegliata dai miei movimenti, per nulla turbata dal rumore che proveniva dalla stanza accanto.

Varvara Petrovna, sei spaventata? Non è niente, non è niente, assicurò con tono un po' sentenzioso, è papà che lavora.

Cos'è questo "papà che lavora"? replicai, pensando che la bambina dormisse in piedi, dicendo sciocchezze.

No, non dormo, Varvara Petrovna, ti dico la verità, è così che papà lavora sempre. Capisci, è un musicista, un compositore, non sa lavorare diversamente. Prima anch'io avevo paura, ora non più, ci sono abituata e anzi mi piace svegliarmi e sentire papà lavorare.

Allora compresi tutto! Assalita dalla curiosità, appena la bambina si fu riaddormentata, mi avvolsi in una coperta e uscii. Dalla porta socchiusa del soggiorno potei passare inosservata nel laboratorio creativo di Ilya Alexandrovitch. Spinta, lo confesso, da un desiderio irresistibile, guardai con discrezione nella stanza; vidi allora Satz per la prima volta, in vestaglia, i capelli arruffati e gli occhi scintillanti, ardenti della fiamma che lo divorava intimamente mentre cercava a tentoni il nucleo musicale del Miserere. Allungò il collo come per concentrare l'orecchio su suoni che solo lui poteva udire; intanto il viso rifletteva tutti i suoi sentimenti. Era il momento in cui aveva già percepito il valzer del Miserere senza ancora avere annotato i suoni che percepiva; lui, tutto solo, materializzava un'orchestra intera, impersonando ogni strumento musicale. Sembrava incarnare la vita e l'essenza del violino, poi del violoncello, dell'arpa, dell'oboe, del tamburo; l'anima stessa, il cuore del violino e dell'arpa si manifestavano nei movimenti, nei gesti, nella mimica. Se era soddisfatto della sintesi di suoni che avveniva dentro di lui e che esprimeva con colpi di tastiera, canti, scoppi, risate e così via, si precipitava ad annotarla sul foglio di musica posto non sulla scrivania ma sullo sgabello. Cadeva in ginocchio, teso come una corda di violino, come a rappresentare il desiderio stesso di fissare, di non dimenticare ciò che aveva appena trovato. Così, tutto curvo e inginocchiato, rapidamente e nervosamente trascriveva le note. Poi cominciava a volteggiare, a ballare, cantare, fischiare, saltare, per immergersi tutto in ciò che l'autore del Miserere voleva esprimere nei momenti più alti della sua opera. Nasceva in tal modo una sintesi misteriosa e armoniosa dei due creatori, che in quel momento si mostravano in una meravigliosa unità inconcepibile per gli esseri mortali. Se Satz non riusciva a trovare i suoni necessari o era incapace di riprodurre ciò che udiva e sentiva dentro di sé, si arrabbiava, bestemmiava, batteva i piedi, fin quasi a scoppiare in singhiozzi.  

Tutto durò fino all'alba - la vita misteriosa di un creatore che osservavo per la prima volta, paralizzata davanti al mistero di un Satz notturno completamente irriconoscibile e del Satz che emergeva col giorno. Ci incontrammo a pranzo nel pomeriggio. Camminava, mangiava e parlava come tutti gli esseri umani, scherzava, giocava affettuosamente con i bambini, ma nel ricordo che mi resta di lui, egli continua a creare la sua musica."


Le modalità di lavoro del compositore hanno ovviamente suscitato molti commenti: Stanislavskij vi allude nella sua biografia La mia vita nell'arte: dopo aver seguito tutto il lavoro del regista e degli attori, il musicista si chiudeva in casa, in una stanza in fondo all'appartamento, per comporre, notte e giorno, i motivi musicali che sembrava cercare mentre declamava con voce stranamente affettata. Seguivano diversi giorni di silenzio assoluto, che la famiglia non doveva per nessun motivo interrompere e dai quali il prigioniero volontario usciva solo per sottoporre a Stanislavskij, all'ultimo momento. la sua composizione.

Michail Čechov (1891-1955).

Michael Chekov dans le rôle d’Ivan le Fou dans Le château s’éveille: essai d’un drame rythmé, Paris, 1931
Michael Chekov nel ruolo di Ivan il Folle, Le château s’éveille: essai d’un drame rythmé, Paris, 1931

Due sessioni nel 1929 furono dedicate all'esperienza e alla teoria teatrale di Michail Čechov. L’attore, nipote dello scrittore, si formò presso il primo Studio del Teatro d’Arte sotto la direzione di Stanislavskij, poi fondò il proprio Studio nel 1924 per affermare la propria tecnica di recitazione. Quando i ricercatori dell'Accademia cominciano a lavorare sulla sua traiettoria creativa, l'attore e teorico ha appena lasciato la Russia sovietica per un esilio definitivo che lo condurrà negli Stati Uniti. Ma poco prima di fuggire a Berlino, ha risposto a una richiesta editoriale pubblicando una preziosa autobiografia che i commentatori moderni non esitano a considerare un'autoanalisi: Il cammino di un attore. È probabilmente su questo testo, che suscitò grande interesse quando fu pubblicato nel febbraio 1928, che Vera Ditinenko ha basato la sua presentazione. Čechov. descrive minuziosamente le crisi che ha attraversato e, in particolare, il trattamento di ipnosi che ha seguito con lo psichiatra Pavel Kapterev, che prende parte alla seduta. È anche disponibile la sua risposta al questionario molto dettagliato di un'altra commissione dell'Accademia, dedicata all'arte teatrale.

Vera Ditinenko descrive con precisione le influenze familiari e sociali che hanno favorito lo sbocciare del talento artistico; descrive la depressione di cui l'attore ha sofferto e che ha superato impegnandosi nella ricerca teatrale per liberarla dal suo intellettualismo; espone il nuovo approccio delle "lettere", del gesto, del ritmo, dell'espressione emozionale in scena che deve favorire l'espansione di un'autentica forza vitale, cioè dell'energia creativa dell'attore. La discussione ruota attorno a cosa intende Čechov per ispirazione vera: quella che arriva in sogno, quella che si manifesta durante il lavoro preparatorio o, ancora, quella che sorge sul palcoscenico? Kapterev propone di distinguere l'immaginario onirico che feconda l'attività artistica e l’irrompere dell'impulso creativo. Nella prima fase l'immagine del personaggio non è ancora formata, mentre nella seconda fase tutti gli elementi disparati si fondono in modo che l'immagine esterna del personaggio coincida con l'immagine interna, generando nell'attore una forma particolare di ispirazione.

    Lo psicologo G. Čelpanov, presente, vede qui una conferma della sua teoria del processo creativo: l'attore, spiega, è inizialmente in uno stato d'animo confuso, l'immagine che si forma del personaggio drammatico è vaga e imprecisa. Poi si produce quella che Karpov chiama la "sintesi nel subconscio", ovvero un momento di concentrazione che favorisce l'apparizione di una precisa visione del personaggio. Comincia allora la messa in forma interiore e, infine, arriva l'incarnazione che completa la creazione. Il momento in cui l'attore si sente ispirato equivale, appunto, all'incarnazione dell'immagine esterna. In psicologia, prosegue Čelpanov, si ammette che la forma interna e la realizzazione esterna del personaggio siano due processi paralleli dove l'uno viene trasformato dall'altro, il che corrisponde al modo con cui Čechov descrive il lavoro dell'attore.

Queste osservazioni, a prima vista ermetiche, possono essere chiarite grazie ai recenti studi dedicati alla biografia e all'opera di Čechov come attore, pedagogo e teorico, nonché alla conoscenza del lavoro concettuale svolto all'interno di GAKhN. Čechov soffrì alla fine degli anni 1910 di una profonda depressione che lo portò a lasciare la scena ma, come egli stesso spiega nella sua autobiografia, guarì tornando al teatro con una nuova tecnica di recitazione, mentre, nello stesso tempo, rinnovava il linguaggio espressivo di quest'arte. L'attore trova quasi parola per parola la tesi che guida il lavoro della commissione: "L'unità della mia mente cominciò a sgretolarsi ed ebbi accesso a me stesso". Sdoppiamento, schizofrenia, paranoia, vertigini, paura dell’altezza e della folla: sono le diagnosi che di sé stesso fa Čechov - lettore di Freud -, indirizzato da Stanislavskij a vari psichiatri. Ma, come ha mostrato Stéphane Poliakov a proposito dei vari tipi di immagini-personaggio – obraz, in russo –, lo sdoppiamento della coscienza, della personalità, dell'io sono altrettante risorse propriamente artistiche. Lo testimoniano i taccuini dell'attore, che ricorre al disegno per osservare l'immagine-personaggio "come dall'esterno" e, così facendo, sentire ciò che sente il personaggio. L'attore creativo è colui che dimentica le emozioni personali o, più esattamente, "le lavora nel profondo dell’inconscio e le trasforma in emozioni artistiche".

Il commento di Čelpanov mobilita una nozione - la "forma interna" - che è appena stata oggetto di un importante lavoro teorico da parte di Gustav Špet all'interno del Dipartimento di Filosofia. Pensata a partire dalla filosofia di Humboldt e applicata alla linguistica, la nozione di "forma interna" rinvia all'attività creatrice del soggetto, che modifica un materiale significante attraverso l'esperienza vissuta dell'enunciazione. Gustav Špet propone di trasporre questa nozione a pratiche culturali diverse dal linguaggio, per mantenere l'esigenza di un'ermeneutica, in accordo con gli orientamenti fenomenologici che prevalgono in seno all'Accademia, a differenza delle analisi formaliste. Le discussioni all'interno della commissione guidata da Karpov non hanno lo stesso tecnicismo, ma testimoniano l'effettiva circolazione di un linguaggio concettuale comune ai diversi campi di studio presenti.

Per concludere

Sia che fossero strettamente legate all’"Età d’Argento”, sia che partecipassero all'uno o all'altro dei movimenti d’avanguardia che hanno preceduto la Rivoluzione, le opere esaminate sono intimamente coinvolte nella cultura estetica dei membri più attivi della commissione. Quando esse entrano nella riflessione di questo gruppo di lavoro, il mondo della critica ha già dotato i loro autori di "vite patetiche", dove in primo piano si trovano quelle sofferenze del corpo e della mente che essi stessi avevano espresso a parole o che, al contrario, avevano pubblicamente rifiutato. Senza dar luogo a una vera e propria teorizzazione, l'obiettivo rilanciato da una seduta all’altra risponde a esigenze simili a quelle che animano altre commissioni, più strettamente impegnate nella descrizione e concettualizzazione dei fatti culturali: pensare il lavoro dell'opera secondo un percorso originale, distinto da altre vie – in particolare l’analisi formalista e il metodo marxista - che concepiscono in modo opposto il rapporto tra individuo e collettivo nei fatti espressivi e creativi.

Il primo artista "brut" della Russia: Alexander Lobanov

Considerando gli artisti in cui maggiormente si cristallizza questa riflessione, il loro sforzo è sostituire all'oblio o alla condanna ideologica il ricordo dell’eredità culturale del mondo di prima. Alle obiezioni che una patologizzazione della condizione dell'artista suscita, si oppone l’attenzione per le condizioni di oggettivazione delle tecniche più intime e singolari del creatore al lavoro, attenzione che si può definire “etnografica”. Questa esigenza descrittiva resta attraversata dalla tensione irrisolta tra un approccio psicologico e il ricorso alle categorie trasversali di una scienza della cultura, ma avvia uno spostamento della follia da una definizione strettamente medica a una definizione culturale: la decostruzione metodica del rapporto con sé stessi e con il mondo diventa il terreno di prova che qualifica l'artista moderno come creatore.

(trad. dal francese di Angela Peduto)


Qualche riferimento bibliografico:

Autant-Mathieu, Marie-Christine (a cura di), Mikhaïl Tchekhov. De Moscou à Hollywood, du théâtre au cinéma, Montpellier, Editions L'Entretemps, 2009.

Etkind, Alexandre, Histoire de la psychanalyse en Russie, Paris, PUF, 1995 (ed. originale 1993).

Experiment. A journal of Russian Culture, 3, 1997. Il primo dossier consacrato a GAKhN, a cura di  Nicoletta Misler e John Bowlt, con la traduzione inglese di numerosi testi.

Miller, Martin, Freud au pays des soviets, Paris, Les Empêcheurs de penser en rond, 2001.

Misler, Nicoletta, The Russian Art of Movement: 1920-1930, Milan, Allemani, 2018.

Podzemskaia, Nadia, « La 'nouvelle science de l'art' face aux avant-gardes dans la Russie soviétique », Enquête, « Réévaluer l'art moderne et les avant-gardes », 2010, n°12 : 115-135.

Revue germanique internationale « L'Allemagne des linguistes russes », 2006.

Sirotkina, Irina, Diagnosing Literary Genius. A Cultural History of Psychiatry in Russia, 1880-1930, Baltimore &London, Johns Hopkins University Press, 2002.

*Giordana Charuty è antropologa, directrice d’études e membro dell’Istituto Interdisciplinare di Antropologia del  Contemporaneo all’École des Hautes Etudes en sciences sociales (EHESS) di Parigi, membro del comitato di direzione di Gradhiva, rivista di antropologia e storia delle arti del Museo del Quai Branly. È autrice di numerosi saggi e  articoli su riviste specializzate. Specialista di Ernesto de Martino, ha pubblicato un’importante biografia (Ernesto De  Martino. Les vies antérieures d’un anthropologue, 2009, trad. it. per Franco Angeli), e co-diretto la traduzione francese della Fine del Mondo, successivamente ripresa come terza edizione italiana da Einaudi; sempre di de Martino  ha recentemente tradotto Il Mondo magico.

La ricerca presentata a Bologna è stata pubblicata nel libro Au temps des utopies radieuses. Création et folie  en Russie sovietique (1921-1929). Suivi de Pavel Karkov: L’activité créatrice des aliénés, 1926, di Giordana Charuty,  Elena Prosvetina, Pavel Karkov, ed. Les Presses du Réel, Paris, 2021.

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